20/09/15


Capitolo 6: 
Lunedì 1 giugno a Kiev. Domenica 31 maggio, da Mosca a Kiev, e concerto.
 
[Il nostro tour nell'ex-Urss si conclude a Kiev, in Ucraina. Nel clima mite e disteso della capitale, troviamo la serenità per ricostruire l'ultimo, convulso giorno di concerti, che ci ha portati da Mosca a Kiev: dopo tante vicissitudini, arriviamo all'ultimo livello e affrontiamo il mostro finale: l'Areoflot, la compagnia di bandiera della Federazione Russa. Un nemico temibile e subdolo, l'unico che è andato vicino a decretare il game-over. E' con un'arma speciale (l'italianità) che, in extremis, lo sconfiggiamo. E vinciamo un soggiorno tutto spesato al Grand Hotel. Buona lettura!]  

La periferia di Kiev al crepuscolo...

Ucraina, tra la gente, è diventato sinonimo di guerra. Un guerra di cui tutti sanno poco, o forse niente. L'idea di chiudere il nostro tour con un concerto a Mosca e uno il giorno dopo a Kiev è stata una scelta voluta, in parte simbolica. Per dimostrare che le due comunità punk, quella russa e quella ucraina, sono unite, che sono estranee alla spazzatura ideologica che ruota attorno a questo conflitto. E anche per supportare i ragazzi e le ragazze della scena punk anarchica di Kiev, che non vedono un band straniera da oltre un anno, perché, a causa del terrorismo dei media, nessuno mette più piede in Ucraina. Quando a Yakutsk, a diecimila chilometri a est da qui, abbiamo detto che domenica avremmo suonato a Kiev, Dima si è incupito e ha pronunciato la fatidica frase (che stavamo aspettando): "Ehm... ma non è pericoloso?". La stessa frase che ci siamo sentiti ripetere decine, centinaia di volte in Italia.

Manifesto di propaganda di epoca sovietica: "Donbass: il cuore della Russia"
Una conferma che le coordinate geopolitiche di questa guerra risultano drammaticamente oscure ai più. A qualsiasi longitudine e latitudine. Ma è normale: i media, sia italiani che stranieri, hanno dedicato attenzione alla situazione ucraina ai tempi di Euromaidan, tra il 2013 e il 2014, quando la cosa, evidentemente, faceva notizia. Poi il silenzio. Dopo gli eventi di Kiev i problemi si sono spostati nell'est del paese, nella regione del Donbass, laddove oggi sorge il nuovo stato (non riconosciuto, se non dalla Russia di Putin) di Novorossiya, strappato all'Ucraina dalle milizie popolari filo-russe. Dall'aprile del 2014 sul fronte orientale si combatte ininterrottamente, a dispetto di alcune tregue imposte ma mai rispettate, mentre nella capitale la situazione è rientrata nella normalità. A tutti e tutte, nel mondo, però è rimasto impresso solo un campo di battaglia: quello di piazza Maidan a Kiev. Così nell'immaginazione collettiva Kiev è ormai sinonimo di scontri a fuoco, disordini e barricate. Certo, le bandiere gialle e azzurre che vediamo sventolare da ogni parte della città e i manifesti anti-russi affissi per le strade ci ricordano ancora oggi che qualcosa non va, che esiste un sentimento di odio che difficilmente, a breve, renderà possibile la pace; ma a Kiev, della battaglia, si percepisce soltanto l'eco. 

Manifesto americano della II Guerra Mondiale "Russo: lui combatte per la libertà"
Dalle nostre parti, a pensar alla "pace" vengono in mente lenzuola arcobaleno appese ai balconi, simboli pasticciati sulle guance dei boy-scout e manifestazioni buoniste autorizzate dallo stesso potere che nel nome della pace si arma e addestra soldati. Perché se l’Italia, da costituzione, ripudia la guerra allora basta mischiare le carte e chiamar la guerra missione di pace. La “pace” per un Paese con la memoria breve come il nostro, ha quel sapore stantio della passività e dell’impotenza. Come si può parlare di pace senza scadere nella retorica e nel romanticismo? Che cos’è la “pace” se neanche un milione di persone in piazza che manifestano “pacificamente” può davvero anche solo disturbare il potere? Ma soprattutto, chi siamo noi per parlare di pace in un contesto complesso come quello dell’Ucraina? Eppure una ragazza a Mosca ci si è avvicinata timidamente alla fine del concerto e ci ha chiesto di dire ai punk ucraini che a loro, alla gente comune, quello che stanno facendo i russi in tutta questa storia fa piuttosto schifo. Il giorno seguente del concerto a Kiev ci ha scritto su Facebook per sapere come avevano reagito al suo messaggio di pace. Ci teneva per davvero. 
Da Kiev, dicevamo, il fronte dove si spara è lontano. Su quel fronte è morto un amico di Dima e Toyla, che da Yakutsk è partito per combattere nel Donbass dalla parte dei separatisti russi. Una delle tante macabre assurdità di questa guerra, che chiama a sè ragazzi qualsiasi, accesi da un richiamo che alcuni chiamano patriottismo, altri idealismo. Noi facciamo fatica ad accettare termini così ovvi e triti. Per chi, volontariamente, getta la propria vita nel fango delle trincee per un ideale che, di certo, verrà tradito da chi salirà al potere alla fine di questa guerra, sorge spontaneo un umano sentimento di pietà, ma tutta questa storia, a noi, suona più sinistra che altro. Vediamo soltanto due nazionalismi, uno di fronte all'altro, sostenuti dai Poteri che decidono i destini del mondo (da una parte gli USA dall'altra la Russia... e in mezzo l'Europa).
A Kiev oggi è primavera inoltrata e il sole splende: la città è vivace, c'è una specie di festa che non capiamo bene, con la banda che suona, le famiglie, i bambini... Kiev non ha l'aspetto funereo e ostile delle città russe. E' piena di locali, ristoranti, negozi. Non abbiamo voglia di scattare fotografie, ma acquistiamo ad un mercatino delle pulci un libro fotografico della città che risale all'epoca sovietica. Il libro è stato stampato nel 1989, ma molte delle foto sono state scattate almeno vent'anni prima. Il clima che oggi c'è qui a Kiev non è tanto diverso da quello che traspare da queste vecchie fotografie dai colori vivaci, evidentemente taroccate dai grafici sovietici per risultare più brillanti...



L'architettura del centro della città è sopravvissuta sia alla seconda guerra mondiale che agli scempi brutalisti dei sovietici: Kiev ha l'aspetto di una cittadina mitteleuropea, di una Berlino meno caotica, ma ugualmente pervasa da uno spirito inquieto, votato al divenire. Il tour dei Kalashnikov, oggi, primo giugno è finito: possiamo finalmente rilassarci e concederci, addirittura, un pranzo al  ristorante! Niente lussi sfrenati naturalmente: scegliamo una trattoria decadente e tremendamente kitsch chiamata "Vesuvio": vorrebbe evocare i sapori dell'Italia, ma (per fortuna) finisce per essere  ucraina al cento per cento, dall'arredamento al menù. 

"Aeroflot: welcome to flight!"
La giornata di ieri, che ci ha portati da Mosca a Kiev, per suonarci, è stata rocambolesca ed estenuante. Siamo arrivati all'aeroporto internazionale di Mosca di primo mattino, abbiamo salutato Denis e siamo entrati nella hall ignari che il tabellone delle partenze avesse in serbo per noi un'amara sorpresa: la cancellazione del volo per Kiev! E' iniziata quindi la consueta e snervante fila allo sportello delle informazioni dell'Aeroflot con la certezza di trovarsi davanti, alla fine, alla solita scarsa empatia che i russi (soprattutto quelli dietro ad un bancone) sembrano avere ereditato dall'epoca sovietica. E alla quale sembrano piuttosto affezionati. 
Dopo un'ora di discussioni e incomprensioni varie, veniamo dirottati su un volo che parte nel pomeriggio, il quale a sua volta scopriamo essere in ritardo di circa due ore. La domanda sorge spontanea: chissà se arriveremo a Kiev in tempo per suonare? Cerchiamo di sfruttare il debolissimo wi-fi dell'aeroporto per coordinarci con i contatti in Russia e Ucraina ed avvisare del nostro clamoroso ritardo. Come dicevamo, a causa di paranoie varie, nessuna band straniera mette più piede in Ucraina dai fatti di Euromaidan e sarebbe clamoroso che questo nostro tentativo di suonare a Kiev fallisse per una congiura dell'Areoflot! Dopo un paio di file allo sportello, grazie ad una breve ma intensa sceneggiata all'italiana, abbiamo la meglio: riusciamo a farci dare dalla compagnia aerea dei buoni pasto e un soggiorno gratuito di alcune ore in un albergo di lusso a ridosso dell'aeroporto. Attendiamo così il nostro volo negli ambienti ovattati di un hotel a quattro stelle, un acquario di vetro e moquette nel quale nuotano uomini d'affari e famiglie della nuova, stucchevole upper-class russa. Nell'esclusivo negozio all'ingresso fanno bella mostra di sè piatti in ceramica riportanti le effigi di Putin, Lenin e Stalin. Vent'anni fa, dopo che le statue di Lenin erano state abbattute e prese a martellate (quelle di Stalin erano già sparite trent'anni prima), sarebbe stato impensabile trovare, in una catena di alberghi di lusso, un souvenir con l'effige dei leader comunisti, o che riportasse in bella mostra la falce e il martello. Oggi, nella Russia "capitalista" e "democratica" è perfettamente normale. Il motivo di tutto questo è da cercare nel progetto politico-messianico di Putin e degli oligarchi che muovono i destini del paese: restaurare l'impero sovietico.

Finissime porcellane di propaganda...
Ci accorgiamo poi di un ulteriore macabro dettaglio: sullo sfondo dei piatti è riportata una cartina del'Ucraina, in particolare della penisola di Crimea, e la scritta in cirillico: Крым-Наш! Ovvero, "La Crimea è nostra!". In uno dei piatti, tra l'altro, la bandiera russa non avvolge solo la Crimea, ma, casualmente, tutta la regione del Donbass, quella regione nella quale i russi combattono per l'indipendenza dall'Ucraina, ufficialmente senza l'interferenza della Russia di Putin, ma, in realtà, con il sostegno logistico e militare di quest'ultima. Tutto ciò, ai nostri occhi di europei, assuefatti al fair-play (o all'ipocrisia) dei nostri politici, ha qualcosa di follemente spudorato. Osserviamo, nello stand accanto, una serie di t-shirt con la foto di Putin in varie situazioni informali: una lo raffigura a petto nudo, a cavallo, mente caccia nella taiga, un'altra a bordo di una barca con occhiali da sole tipo Tom Cruise in Top Gun, e sotto la scritta in russo "Il mio Presidente". Aiuto, scappiamo...

Cartellone pro-annessione della Crimea alla Russia per il referendum del 2014, affisso davanti al parlamento di Simferopol: "16 marzo, noi scegliamo: così o così"...
L'arrivo a Kiev è trafelatissimo, corriamo giù dall'aereo e affrontiamo i controlli dei passaporti, noncuranti che un gruppo di italiani vestiti di nero provenienti da un paese nemico avrebbe di certo attirato attenzioni particolari. La signorina in divisa ci chiede chi siamo, e noi le rispondiamo: eh, i Kalashnikov! Ci rendiamo conto solo in quell'attimo che avremmo potuto anche presentarci un po' diversamente... ma lei ha senso dell'umorismo evidentemente, e le viene da ridere come viene a noi. Ci fa qualche domanda generica e poi ci congeda. Giusto in tempo per salire sul taxi e conoscere Anton il nostro contatto ucraino. Al contrario del tipico russo, Anton è sempre sorridente, decisamente giulivo. Ha lunghi capelli biondi e un cappello da pesca perennemente premuto sulla testa. Per tutto il viaggio non dice una parola, limitandosi a rispondere, quando le capisce, alle nostre domande. La sua serenità estatica ci tranquillizza. Verso le nove, una decina di minuti prima di salire sul palco, eccoci scaricati in un posto che nella fretta non sappiamo nemmeno come si chiama, ma sembra in tutto e per tutto uno squat europeo, di quelli un po' improvvisati in  vecchi complessi industriali. Imbracciare gli strumenti e iniziare a suonare è una catarsi, finalmente ci liberiamo di tutta la tensione accumulata... 



Nel dopo-concerto, scambiamo qualche battuta con i punk locali e presto i discorsi virano, inevitabilmente, sulla guerra. Un giovane punk dall'aspetto da squatter europeo, ci dice, per esempio, di essere "anarchico, ma anche nazionalista". Restiamo un po' interdetti. Ci spiega: "I russi sono miei fratelli, come lo siete voi, ma la Russia e l'Ucraina sono due cose diverse. Noi siamo ucraini, e non vogliamo essere russi". Se non si conosce la storia dei rapporti tra i due paesi degli ultimi centocinquanta anni, è arduo capire il senso di queste parole, in caso contrario è fin troppo semplice: la Russia ha oppresso l'Ucraina per oltre cento anni, prima con gli Zar poi con i bolscevichi. Di mezzo c'è stata una guerra civile, e un genocidio, l'Holodomor (che in lingua ucraina significa "dare la morte per mezzo della fame"). Abbiamo imparato che qui, come nel resto nell'ex Urss, parole cariche di storia e d'ideologia come "nazionalismo", "comunismo", "fascismo" e persino "anarchia" sono strumenti linguistici privi di utilità per comprendersi. Anzi, andrebbero del tutto evitate. Quelle stesse parole, pronunciate da noi e da loro, evocano vicende incompatibili, ricordi discordanti, immaginari inconciliabili. Un muro, questa volta semantico, è ancora in piedi tra l'est e l'ovest, e rischia d'impedirne la condivisione del futuro.

Spaghetti in salsa vesuvio
Ma eccoci qui, infine, alla trattoria Vesuvio di Kiev, davanti ad un bicchiere di vino moldavo e ad un piatto di spaghetti in "salsa vesuvio". Fra qualche ora prenderemo un aereo che ci porterà prima a Mosca e poi, in serata, a Milano. 
Usciti dal ristorante, notiamo un piccolo negozio di dischi all'angolo opposto della strada. Sugli scaffali in bella vista ci sono i prodotti della Kiev hipster: elettronica, indie-rock, hip-hop... ma noi, ovviametne, ci fiondiamo in un settore in penombra dove sono raccolti alcuni vecchi dischi di epoca comunista. Usciamo con il vinile di una cantante russa degli anni '80 che prevedibilmente desta la perplessità del commesso: si intitola Guarda  indietro alla tua infanzia, canta tale Tatiana Antsiferova. Le canzoni hanno titoli malinconici come Non dimenticarmi, Aspettando ancora la tua risposta, Una chiamata da lontano... Sembrerà strano, ma è la colonna sonora ideale per titoli di coda di questo tour... 

 

Scopriamo che Tatiana Antsiferova è russa, ma ha studiato in Ucraina a Karkhiv (quando sull'atlante i due paesi non esitevano perchè era tutta Urss) e, incredibile ma vero, negli anni settanta ha esordito come cantante di un gruppo pop di nome... "Vesuvio"! Come la salsa del ristorante "Vesuvio" di Kiev! A volte capitano pazzesche coincidenze...  
Guarda indietro alla tua infanzia è del 1986, risale all'epoca di Gorbaciov. E in effetti quella data ci riporta alla nostra infanzia, quando la Russia era proprio Gorby, che vedevamo alla tv, ma anche Danko e Ivan Drago, per la verità. Una specie di melting-pot di fantasia, cronaca e ideologia che ci affascinava per il suo essere inaccessibile, per il suo stare oltre un limite invalicabile, un finis terrae non tanto geografico, quanto dell'immaginazione. 
Negli ultimi anni, abbiamo viaggiato, in lungo e in largo in quell'oltre, nell'(ex?)impero sovietico, venticinque anni dopo il suo crollo e venticinque anni dopo la nostra infanzia. Mettendo insieme i pezzi del puzzle, il quadro è chiaro: l'eredità di quell'epoca è ben lungi dall'essere archiviata. Fantasmi si agitano sotto le macerie, vecchi nodi vengono al pettine...

Lenin scruta pensieroso l'orizzonte. In mezzo ai rottami, da qualche parte in Siberia...


Feddy Lavrov, all'inizio degli anni '80
Postilla. Intervista a  Feddy Lavrov dei Отдел Самоискоренения... 
Avevamo iniziato questo report con il racconto della nostra data a San Pietroburgo e parlando della  prima anarcopunk band della Russia comunista, gli Отдел Самоискоренения. Dopo aver pubblicato quella puntata del report, ci ha scritto Feddy Lavrov, il leader della band: abbiamo scoperto non solo che Feddy è ancora in circolazione, ma che ha da poco riformato gli Отдел Самоискоренения! Non abbiamo perso occasione per fargli qualche domanda, su come fosse essere punk nell'Unione Sovietica di fine anni '70 e su temi più attuali, come la situazione ucraina...

Ciao Feddy! Come hai conosciuto il punk-rock negli anni '70? Com'era essere un punk nella Leningrado dei primi anni '80? "La prima volta in assoluto ho sentito parlare di punk come di una "nuova moda", in un numero della rivista satirica “Krokodil” pubblicata in URSS nel 1977. L'ultima tendenza londinese non veniva nemmeno chiamata punk, ma il suo nome è stato traslitterato in russo. Stesso discorso per i nomi dei gruppi punk, come Stranglers, Dead Boys e Damned, definiti come "band jazz che hanno inventato un nuovo stile e si esibiscono sul palco con tagli di carne fresca appese al collo" (!!!). Il governo aveva paura della musica rock in sé, figuriamoci di questo genere nuovo di zecca… Poi la televisione di stato ci ha fatto vedere dei “veri punk” per le strade di Londra e qualcosa si è acceso dentro di me. Avevo 13 anni quando ho detto a mia madre: “Ehi, mamma! D’ora in poi sono un punk!”. Fortunatamente, lei è stata così intelligente da comprarmi una batteria ed altre attrezzature per suonare. Ma che cosa potevamo fare come gruppo punk in Unione Sovietica nei primi anni 1980? Beh, suonare chiusi nei nostri appartamenti. I concerti dal vivo non erano ammessi senza autorizzazione ed ogni infrazione in questo senso era rigorosamente perseguita. Anche la registrazione casalinga era illegale, ma sono riuscito ugualmente  a mettere insieme un studio artigianale e così ho subito iniziato a registrare le nostre prove e le jam session. L’unica funzione di queste registrazione era di ascoltare quello che avevamo suonato, non era granché vista la qualità dell'attrezzatura. Tutto quello che avevo era un registratore monofonico con nastri 6mm e una serie di piccoli mixer a 3 canali messi in linea in modo da poter collegarci tutti gli strumenti e i microfoni. Non avevamo ampli e nemmeno effetti per le chitarre. Anche queste ultime erano realizzate artigianalmente: personalmente ho costruito due bassi e tre chitarre! Tutti erano autentici pezzi di art-brut! Fuori, intanto, la polizia era ovunque, prelevava punk e hippie direttamente dalla strada e ne collezionava le foto segnaletiche…"

Feddy Lavrov, nel 2014
Per noi che vivamo in europa occidentale e assistiamo alle odierne vicende ucraine è importante sapere che cosa i russi (soprattutto punk!) pensano della situazione, perché qui c'è un sacco di confusione e i media sono superficiali. Dicci...  
Il mio consiglio è di lasciare da parte tutti gli argomenti, le opinioni pro e contro. Lasciamo che il popolo ucraino scelga il proprio destino. Smettiamola di chiamare fascisti tutti, da entrambi i lati. E poi vedremo che cosa effettivamente accadrà. Gli ucraini hanno rovesciato il regime sovietico, nelle forme dello Stato e (che è ancora più importante) nei propri cuori. Hanno aperto una pagina vuota della loro storia. E questo è ciò che noi - i russi - avremmo dovuto fare nei primi anni del 1990, quando l'Unione Sovietica cadde. Avremmo dovuto aprire le porte di tutti gli uffici segreti, prelevare i documenti e renderli accessibili a tutti. Ogni vittima del regime dell'URSS avrebbe avuto allora finalmente un nome. Il regime sovietico era governato dai servizi segreti, la NKVD e il KGB. Fin dall'inizio questo potere è stato istituito dai rivoluzionari per difendere la vittoria del socialismo. E con Stalin, coincise con la massima carica dello stato per così tanto tempo che questo potere è diventato l’unica legge in Urss. L'anonimo, sottile, invisibile potere, spietato e senza volto, della massa grigia di quelli che sono sempre stati dietro al Governo. E sono ancora lì. Nulla qui è mai cambiato. Oggi fanno i soldi, governano lo Stato, controllano i mass media, creano stati d'animo e pongono gli obiettivi da raggiungere: possono fare letteralmente quello che vogliono. Questo era ciò contro cui il cittadino ucraino di Euromaidan ha combattuto: il patrimonio più terrificante dell'URSS, il potere illegale e totale. Il potere di Putin è assoluto e lui è un vero figlio del sistema: che altro ci si poteva aspettare da lui? Ormai possiamo leggere in faccia a certi personaggi che tipi sono: ne ho viste tante di persone come lui negli anni in cui ho lottato contro il KGB: piccoli uomini con complessi enormi, e smisurate ambizioni. Non c'è niente di nuovo per me in questa persona. Ma fortunatamente, non è per sempre...".
I nostri contatti con Feddy e gli Отдел Самоискоренения non finiscono qui, perchè a dicembre faremo insieme un breve tour delle repubbliche baltiche, quattro date tra Lettonia ed Estonia. Naturalmente vi racconteremo come andrà. Alla prossima quindi!


4 commenti:

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  2. Vi ascolto da anni, vengo ai vostri concerti e apprezzo molto quello che fate.
    Posso comprendere, seppur con qualche difficoltà l'idea di andare a suonare a Kiev in un momento come questo. Perchè non in Donbass? I punk del Donbass non sono forse fratelli dei punk moscoviti o di quelli ucraini? Ma al di là dei punk, credete davvero che il Donbass sia una terra popolata da terroristi putiniani? Forse dovrete farvici un giro: magari potreste riuscire a non dire esattamente le stesse cose sulla guerra d'ucraina che dice Studio Aperto.
    La stragrande maggioranza dei nazisti russi combatte insieme ai nazisti ucraini ingrossando le fila dei battaglioni punitivi che da più di un anno stanno terrorizzando la gente comune del Donbass.
    A Mosca ho conosciuto rappers, hardcores, punk, skins che sostengono la lotta del popolo del Donbass e che hanno perso amici e parenti in battaglia: gente per cui l'antifascismo non è solo un buon proposito.
    Trovo imbarazzante che a distanza di quasi due anni riusciate a solo a cantare le lodi di Euromaidan: nessuno nega che alla base della proposta ci fosse un sacrosanto risentimento popolare per la devastante situazione economica che l'Ucraina attraversa da vent'anni ma allo stesso modo è imprescindibile ammettere che le bande di nazisti hanno preso da subito il controllo della protesta con il sostegno occidentale, e che molti fantomatici gruppi di anarchici e di presunti rivoluzionari sono nient'altro che fascisti, come probabilmente il tizio che avete incontrato. I risultati di Euromaidan? SI possono sintetizzare in bande di nazisti diventate parte dell'esercito, danni materiali inestimabili, più di 8000 morti, un milione e mezzo di profughi in Russia.
    E il problema dell'Ucraina sarebbe il retaggio sovietico?
    Quello che avete scritto in questo articolo, purtroppo è impregnato della peggiore propaganda occidentale sbandierata – anche nel senso di Stephan Bandera – da Svoboda e Pravy Sektor.
    Spero di riuscire a stimolare una vostra riflessione.

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  3. Maurizio, sappiamo di avere sull'argomento punti di vista diversi da quelli di molte persone delle nostre parti e dei nostri ambienti, ma mi sembra che tu sia partito un po' prevenuto leggendo quello che abbiamo scritto: non abbiamo "cantato le lodi di Euromaidan" (e quando lo avremmo fatto? Non pensiamo affatto che sia il caso di cantare le lodi di Euromaidan… e lo avremmo scritto?), nè pensiamo che nel Donbass ci siano "terroristi putiniani" come dici tu: non abbiamo mai scritto e detto niente di tutto questo. Forse non siamo stati capaci di dimostrare la nostra equidistanza da tutte le parti in causa, di essere abbastanza obiettivi nello scrivere l'articolo, ma, credimi, non abbiamo in cuor nostro alcun pregiudizio... E non credo che Studio Aperto dica le stesse cose che diciamo noi, ad ogni modo, nè penso che il nostro punto di vista sia "impregnato della peggiore propaganda occidentale". Secondo me - te lo dico serenamente, constatando che ci fai dire cose che non abbiamo mai detto - è il tuo punto di vista che mi sembra inquinato dai pregiudizi.
    Senza scendere nei dettagli dei due schieramenti (non crediamo che "la stragrande maggioranza dei nazisti russi combatta insieme ai nazisti ucraini"... per la verità si sa di un noto nazi-fascista italiano che combatte dalla parte del Donbass... ma questo è solo un dettaglio folkloristico, e -mi raccomando- non significa niente...), non abbiamo scelto di suonare a Kiev perchè Kiev sta con i "fascisti" (e noi di conseguenza... come sembra che vuoi dire tu); avremmo volentieri suonato in Donbass (per ragioni burocratiche, non avremmo potuto ad ogni modo…), a Kiev poi in tutte le città dell'Ucraina, nel caso… il nostro intento era quello, come dicevamo all'inizio dell'articolo, di “dimostrare che le due comunità punk, quella russa e quella ucraina, sono unite, che sono estranee alla spazzatura ideologica che ruota attorno a questo conflitto". Tradotto che non c’è odio tra le due comunità, quell’odio che invece esiste tra la gente comune ed è piuttosto palpabile, e che noi di sicuro non vogliamo alimentare.
    Nessuno ci ha mai chiesto di prendere le difese di una parte o dell'altra e noi di certo non lo vogliamo fare. I punk che abbiamo conosciuto in Russia, Bielorussia e Ucraina ci hanno detto che stavamo facendo la scelta giusta. D’altronde: che cazzo ne sappiamo noi dell'Ucraina, del Donbass, di 70 anni di comunismo, di venticinque anni di capitalismo da quelle parti? Perchè dovremmo difendere o attaccare ciò che, di fatto, conosciamo solo superficialmente? Quest'ansia di prendere una posizione utilizzando parole piene di “storia” (la nostra però, non la loro!) come "partigiani", "comunisti", "fascisti", "anarchici"... non la capiamo. Secondo noi le posizioni vanno prese quando uno si trova immerso in una situazione, non quando è sul divano a casa sua a quattromila chilometri di distanza, e viene da un “altro pianeta” (per storia, cultura e condizioni di vita). Noi ragioniamo per “affinità” e per piccole comunità, non per ideologia e schieramenti. Tra l’altro, dal nostro punto di vista anarchico siamo piuttosto ostili a tessere le lodi di una guerra e a credere che i poteri che usciranno da questo conflitto potranno fare il “bene” della popolazione.
    Comunque, è la solita vecchia storia: se non sostieni a spada tratta una cosa, allora sei automaticamente il suo contrario: non sbandieriamo la nostra solidarietà all’esercito popolare del Donbass? Allora stiamo con i fascisti di Pravy Sektor. Forse, si può anche stare da un’altra parte, non trovi?

    Stefano

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  4. Mi piace questa storia a puntate :D

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