14/08/15

[Benvenuti alla quarta puntata del reportage sul nostro tour nell'ex-Urss! Con uno schiocco di dita, ci teletrasportiamo dall'altra parte del mondo, nelle lande desolate della Siberia orientale: in questa terra inaccessibile e inospitale chiamata Sacha-Yakuzia scopriamo il segreto della vera ospitalità e il significato primigenio della parola "punk". I pericoli comunque non mancheranno: dovremo orientarci nei labirinti di ghiaccio scavati nel permafrost, affrontare zombi-mammuth in avanzato stato di decomposizione, presidi nottambuli, nani seda-risse e scolare minacciose bottiglie di champagne sovietico. Ma alla fine, come sempre, avremo la meglio su tutte le avversità!]

Capitolo 4:
Mercoledì 27 maggio, da Murmansk a Yakutsk. 
Giovedì 28 maggio: cazzeggio in Sacha-Yakutia. Venerdì 29 maggio: concerto a Yakutsk.

Oggi ci attendono circa diecimila chilometri da percorrere. Fortunatamente in aereo. E’ la quarta tappa del nostro tour, la causa per la quale molti dei nostri conoscenti e amici hanno dubitato della nostra lucidità mentale. Perché Yakutsk? Cittadina collocata nell'estremo oriente russo, in una delle regioni meno ospitali e più remote della Siberia, la Sacha-Yakutia, è celebre per essere il polo del freddo del mondo abitato: a Yakutsk il termometro, in inverno, scende al di sotto dei -50°! Il motivo per cui abbiamo scelto di fissarla come tappa è semplice: che ci crediate o no, in Sacha-Yakuzia c'è una florida scena punk e, giunta notizia del nostro imminente tour in Russia, qualcuno da là si è dimostrato entusiasta e disponibile ad organizzarci una data. Noi, che non amiamo le soluzioni  scontate e rassicuranti, abbiamo accettato senza pensarci due volte. Avremmo dovuto?
Ad ogni modo, è per questo motivo che ci troviamo ora stipati in questo maledetto volo notturno dell'Aeroflot che sorvolerà l’intera Federazione Russa, da Murmansk a Yakutsk. Prima di salire sull’aereo, appurata la durata del viaggio (più o meno quello tra Milano e Tokyo), ci eravamo messi il cuore in pace, pronti a spararci una dormita colossale sui comodi sedili del volo intercontinentale. E invece no: una volta in cabina abbiamo amaramente scoperto trattarsi di patetico velivolo low-budget privo di ogni comodità e confort: ci attendono ore di viaggio incastrati in file da tre posti, senza nemmeno alcolici per poterci anestetizzare! Sulle tratte interne dell'Aeroflot si torna ai tempi dell'Unione Sovietica: mentre il volo Miano-Mosca era comodo e spazioso, le hostess offrivano vino ai passeggeri, qui, per il fatto che turisti non ce ne sono, ma soltanto poveri russi che vanno a trovare i parenti dall'altra parte del paese… si viaggia come su un carro bestiame!
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Il volo si rivela presto un'esperienza metafisica. Vuoi per il cibo psichedelico dell’Aeroflot, vuoi per la postura costrittiva da tortura medievale, vuoi per il clima tropicale creatosi, vuoi per il continuo, vorticoso passare dal sonno alla veglia... dopo alcune ore di viaggio veniamo assaliti da fantasie paranoiche e miraggi di natura monomaniacale. Ci convinciamo ad esempio che i passeggeri attorno a noi hanno tutti grosse orecchie gonfie e deformi. In un picco di delirio ossessivo-compulsivo, trovando insostenibile quest’allucinazione collettiva, chiediamo ai diretti interessati perché le loro orecchie siano così grosse e brutte, temendo che nel frattempo anche le nostre siano diventate così. Scopriamo così di essere in mezzo ad una squadra giovanile di lotta greco-romana di San Pietroburgo. Quelle orecchie non sono un’allucinazione: scopriamo che molti lottatori le hanno, a causa dei colpi e delle prese che subiscono ai lati della testa! Comunque sia, paiono anch'essi incuriositi da noi otto italiani vestititi di nero che viaggiamo verso la Sacha-Yakutia. Il dialogo verte subito sul calcio, ovviamente: secondo loro Sarta è uguale a Guardiola, l'allenatore del Barcellona. Che allenatore di quella squadra non lo è più da circa tre anni però: forse è un problema di fuso orario o di latenza nella ricezione della parabola. Quando il discorso vira verso tematiche ancora più virili, tipo che cosa pensiamo delle russian girls, fingiamo di avere qualcosa di urgente da fare, o semplicemente di essere trasparenti.
Giunti all'aeroporto di Yakustsk, alle sei del mattino, non sappiamo nemmeno più bene come ci chiamiamo. Strisciamo le suole verso l'uscita, e lì dietro una vetrata avvistiamo due giovani con gli occhi a mandorla: uno sorride e saluta con gesti vorticosi, l'altro filma con una videocamera l'arrivo dei passeggeri. Una delegazione di giornalisti della stampa locale che accoglie la squadra di lotta greco-romana, pensiamo. E invece no, sono lì per noi. Sono Dima e Kesha: quest'utlimo, appassionato di fotografia, filmerà ogni minuto dei nostri futuri tre giorni di permanenza in città (vorrà forse produrre un kolossal locale da far concorrenza ad Heimat?). I due ci accompagnano nel desolato parcheggio dell’aereoporto di Yakutsk, dove ci attende un pulmino scassato. Saliamo e partiamo. Ma verso dove? Dal finestrino osserviamo la città intorno, percorrendone le ampie strade semideserte...

A Yakutsk tutto ha un aspetto un po' polveroso e trasandato, ma è normale considerando che ci troviamo in una delle località più remote del mondo, dove le condizioni climatiche sono estreme: il gelo stacca l’intonaco dalle case e fracassa i serramenti delle finestre; il disgelo lascia dietro di sé coltri di fango e strade dissestate. Yakutsk – come dicevamo - è nota per essere il luogo abitato più freddo della terra, ma, fortunatamente, ora siamo in piena primavera: la temperatura è mite, e non c’è traccia della neve che avvolge questa città per nove mesi all’anno. In estate la temperatura salirà ad oltre trenta gradi, con un’escursione termica da gennaio a luglio di circa 80 gradi centigradi!

Come altre città siberiane, Yakutsk è caratterizzata da caseggiati tetri e spartani molto distanziati l’uno dall’altro, ed è solcata dalle tubature a vista, che corrono da abitazione ad abitazione disegnando strane traiettorie in corrispondenza di ostacoli come strade o negozi: non è possibile interrarle, perché sotto la superfice della terra c’è il ghiaccio eterno, il permafrost. 


Per questo le case e i palazzi sono costruite su palafitte: se così non fosse i continui sommovimenti del permafrost le farebbero crollare! Il Permafrost non è solo terra ghiacciata che crea grossi problemi alla stabilità degli edifici degli abitanti della Sacha-Yakutia, ma un mostro cangiante che minaccia l’umanità intera, perché rilascia grandi quantità di metano nell’atmosfera, tali da alterare in modo catastrofico il clima della terra. E più gas libera, più aumenta il riscaldamento globale e di conseguenza lo scongelamento stesso del permafrost. Insomma, un gran casino...
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La vie en rose
Notiamo che la maggior parte degli esercizi commerciali sono autorimesse e officine. In effetti, con il clima e le strade che ci sono qui, le auto hanno continua necessità di manutenzione; ci accorgiamo poi che molte auto non hanno il paraurti anteriore: probabilmente perché, quando le strade sono piene di neve, tutto quello che è rasente al terreno dà solo noia!

Lo Yakutskaya Gorodskaya Natsionalnaya Gimnaziya
Il taxi si ferma davanti ad un edificio colorato, di recente costruzione, che ha tutto l’aspetto di una scuola. E lo è, in effetti. Non solo: sarà la nostra casa per i prossimi tre giorni! Verremo infatti ospitati nel “Yakutskaya gorodskaya natsionalnaya gimnaziya”, un liceo di Yakutsk! Otto letti sono stati predisposti nel retro della palestra, in una graziosa stanza alle cui pareti sono sistemati i ritratti di tutti i grandi campioni di scacchi della storia. Incontriamo Tolya, il batterista degli CharmSS (e di tutti i gruppi punk di Yakutsk) e organizzatore della serata di domani. La scuola è deserta, ma – ci spiega – fra poco arriveranno gli studenti. Oggi si terrà per tutti loro un importante esame di chiusura dell’anno scolastico. Sono le sette del mattino (ma, a causa del fuso orario, per noi è circa mezzanotte) e, per ora, non ci poniamo molte domande. Tolya ci chiede quando ci sveglieremo, noi spariamo un’ora a caso. Poi crolliamo sui materassi e ci addormentiamo come lontre in letargo...
Riapriamo gli occhi con circa cinque ore di ritardo rispetto all’orario pattuito e la prima cosa che appuriamo è che… siamo davvero in una scuola. Non era un sogno, dunque. In lontananza si sente il vociare degli studenti e, mentre andiamo in bagno, incrociamo una bidella. Tolya (che probabilmente ha dormito seduto fuori dalla porta in attesa che ci svegliassimo) ci preleva per la colazione. Scendiamo nella mensa della scuola, dove ci attende una tavola imbandita di ogni ben di dio, naturalmente tutto vegano, cosa assolutamente inusuale in queste lande dove mangiare è sinonimo di carne bollita...

Siamo increduli, ma il meglio deve ancora venire: dopo la colazione veniamo condotti nell’auditorium della scuola, dove gli studenti hanno preparato uno spettacolo di musica tradizionale della Sacha-Yakuzia! In platea ci siamo solo noi, appena svegli, mezzi rincoglioniti dal jetleg, tutti neri, sporchi ed impolverati: lo spettacolo, con tanto di luci e palloncini colorati sul palco, è stato messo in piedi davvero solo per noi! Dopo il discorso di benvenuto di uno dei ragazzi, cala il buio e l’esibizione inizia…


Dopo quest'emozionante performance di musica pagana e ancestrale, è ora il momento di ascoltare un po' di moderno soft-rock della Sacha-Yakuzia, eseguito da una band di studenti. Ehi! Ma sanno suonare meglio di noi!

  

Il Preside ci chiede di esibirci, ma Tolya prende in pugno la situazione dicendo che è tardi e che abbiamo tante cose da fare. Che cosa? Certo, dobbiamo visitare il… museo del ghiaccio! E come ci andiamo? Col pulmino della scuola, naturalmente. Scopriamo infatti che il preside ci ha messo a disposizione lo scuolabus con l’autista, per tutta la durata della nostra permanenza: spiace vedere un servizio destinato agli studenti utilizzato per portare a bere otto punk italiani del tutto sfaticati. Però, tutto sommato, questa cosa della limousine è una gran comodità: chi non sognerebbe, uscito dal bar, di schioccare le dita e di vedere sbucare da dietro l’angolo uno scuolabus disposto a portarti in un altro bar?
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Sarta si pavoneggia con il suo nuovo mantello anti-gelo...
Il museo del ghiaccio, il cui nome autentico è il roboante “Regno del Permafrost”, è un sistema di caverne scavate nella terra ghiacciata, dentro una collina. Prima di entrare veniamo avvolti in pesanti mantelli anti-congelamento che ci fanno somigliare ai Rockets. Dentro la temperatura è di -20°. Ci sono buffe sculture di ghiaccio raffiguranti antichi guerrieri della Sacha-Yakuzia, ma anche faraoni di ghiaccio, un’opera di Picasso di ghiaccio, la Venere di Milo di ghiaccio, un letto matrimoniale di ghiaccio, un trono tipo quello all'inizio di Conan il Barbaro sempre di ghiaccio, sul quale ci sediamo per alcune foto da turisti scemi. E’ tutto molto suggestivo, soprattutto la stanza dove viene conservata una carcassa di mammuth: un simpatico elefante in pelliccia in avanzato stato di decomposizione, che puzza esattamente come un simpatico elefante in pelliccia in avanzato stato di
Il collettivo Kalashnikov è pronto a varcare le porte del Regno del Permafrost...
decomposizione. Siamo però emozionati, perché è il nostro primo, sgradevole, incontro con un mammuth. Qui in Sacha-Yakuzia il mammuth è un po’ la mascotte nazionale; benché estintosi da almeno quattromila anni è ancora protagonista della vita quotidiana degli abitanti e della cronaca locale: il sottosuolo qui è infatti pieno di resti di mammuth ben conservati nel permafrost. Talmente ben conservati che nel corso di uno scavo nei pressi della città è stata ritrovata una di queste carcasse che ancora conteneva del sangue in stato liquido! Ciò permetterà agli scienziati di clonare un mammuth, così, finalmente, potremo riavere tra di noi, zampettante, questo tenero, affettuoso, enorme magazzino di pulci e zecche che puzza come una montagna di sacchetti dell'umido che storicamente è il mammuth. Apprendiamo tutta questa storia della clonazione durante la visita al Museo del Mammuth di Yakutsk, dove un premuroso omino ci sottopone alla visione di un documentario di mezz’ora nel quale alcuni scienziati, con gioia e soddisfazione, spremono del sangue nerastro dalle carni putrefatte di un mammuth. Bene!

Vecchi dissapori riaffiorano tra i ghiacci eterni.


Detto questo, è venuto il momento di andare a bere le birre. Quindi schiocchiamo le dita e compare lo scuolabus, che ci porta in una esclusiva località di villeggiatura sulle rive del fiume Lena. Uscendo dalla città ci rendiamo conto della desolazione che ci circonda: pianure steppose senz’ombra di presenza umana si estendono ai lati della strada a perdita d’occhio. Qui, nella steppa, i segni della modernità, come le auto, i vestiti e noi stessi, sembrano fuori luogo: improvvisamente veniamo travolti dall’essenza pagana e barbarica di questo remoto angolo di mondo. A riportarci nel duemilaequindici ci pensa il resort deserto nel quale veniamo portati: costruito con la caratteristica sensibilità russa per la deturpazione paesaggistica, è una parentesi di cemento e piastrelle sulla riva di questo gigantesco fiume, che ci porta dritti nei racconti di Ballard, che abbondano di alberghi abbandonati e spettrali strutture turistiche nel nulla…

Stappiamo qualche lattina di Baltika davanti a questo spettacolo idilliaco e irreale, ed abbiamo finalmente la possibilità di chiacchierare con calma insieme a Toyla, Dima e Kesha. Il discorso vira presto verso la politica... In Sacha-Yakutia vive un buon cinquanta per cento di russi e di altre etnie dell'ex blocco sovietico (qui o per lavoro o perchè discendenti della generazione che, tra gli anni trenta e cinquanta, fu deportata da Stalin nei gulag), ma il restante cinquanta per cento è costituito da autoctoni, dai discendenti delle tribù indigene. I nostri tre amici fanno parte di questa metà della popolazione. La convivenza tra le etnie è sostanzialmente pacifica, ma non è tutto rose e fiori (anche perchè qui cresce solo erba secca)... “Noi yakuziani siamo così – dice Dima. Quando sono arrivati i cosacchi abbiamo detto, ok, vediamo che hanno da dirci questi cosacchi. Poi sono arrivati i bolscevichi e abbiamo pensato: ok, proviamo anche questa cosa chiamata comunismo. Poi è arrivato Putin, e abbiamo detto ciao Putin, vediamo un po’ che cosa hai in serbo per noi... naturalmente siamo rimasti fregati in tutte e tre le occasioni. Siamo un popolo pacifico, prendiamo quello che arriva, ma tutti si approfittano della nostra mansuetudine. La terra, qui, è piena di diamanti, potremmo essere il popolo più ricco del mondo, ma questa ricchezza finisce tutta a Mosca, e a noi resta poco. Quel poco che basta per mantenerci tranquilli. Il fatto è che a noi yakutiani della politica, quella che si fa nella capitale a novemila chilometri ad ovest di qui, non è mai interessato granché: siamo un popolo tribale, con tradizioni legate alla nostra religione pagana e di fatto viviamo del tutto isolati dal resto del mondo...”. Dima, tra una frase e l’altra, ride come un pazzo, come se trovasse irresistibilmente assurda tutta questa storia; per noi, quest’amara ironia, non è del tutto sorprendente, è solo una declinazione yakuziana del fatalismo russo.... 


Circa l’isolamento, chiediamo se da Yakutsk sia possibile raggiungere altre città o posti in cui insomma valga la pena di andare, ma pare che la metropoli più vicina sia Khabarovsk, a circa 2.500 chilometri di strade da incubo da qui. Dima e Tolya, hanno viaggiato (sono stati a Mosca, ed anche in Europa), ma a moltissimi yakuziani, per ragioni economiche e culturali, il turismo è precluso. Dima racconta una storiella che fa capire come questo strano popolo abbia vissuto per molto tempo appartato dal resto del mondo: una volta sua nonna ricevette un pacco di cibo dalla sorella che si era trasferita da tempo a Mosca. Nel pacco c’erano anche delle arance, una prelibatezza un po' costosa, ma non così rara per i moscoviti. La nonna le mangiò, ma non ne rimase entusiasta: disse alla sorella di non inviargliene più perché quei frutti avevano una buccia che non era affatto buona da magiare! Che amore gli Yakuziani!
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Yakutsk o fantascienza?
Tornati in città, mentre passeggiamo in cerca di un supermercato, capitiamo in una via ai bordi del centro cittadino: è assurdo, da un lato della strada ci sono le case, dall’altro la steppa più selvaggia, a predita d’occhio. La natura qui è una presenza quasi minacciosa!

Contemplando il fuoco eterno...
Ceniamo come al solito in mensa. Mentre siamo a tavola, chiediamo a Dima qual è il piatto tipico della Sacha-Yakutia. Lui ci pensa un po’, poi dice: “Il pesce congelato”. 
La notte trascorre serena nella scuola, ormai ci siamo ambientati e ci sentiamo un po’ come a casa: attraversiamo la palestra in ciabatte e mutande per andare a fare la doccia, ci sediamo nell'aula magna a leggere, scendiamo in mensa a bere un tè… Finalmente però giunge il tanto atteso momento del concerto, che si terrà in un bar chiamato “Sherwood” (sic). Lo Sherwood Bar è una casetta in un quartiere di casette, che sono tutti bar. Come scendiamo dal furgone veniamo assaliti da alcuni punk locali desiderosi di fare una raffica di fotografie insieme a noi. E' solo l'antipasto di una overdose di foto in posa. 
Il bar ha un aspetto trascurato, un po' dozzinale. Si suona senza palco in mezzo ai tavoli. Le corrotte pratiche dell'autografo e della foto di gruppo qui a Yakutsk toccano vertici inarrivabili: ciascun avventore del locale ha scattato una foto insieme a ciascuno di noi, in un delirio esponenziale di inutili ritratti dei nostri volti sudati. Nessuno qua ha mai visto un italiano, è un'occasione unica per fotografarlo e mostrarlo ai propri amici, che increduli, si domandano "ma stai parlando di un italiano vero?". D’altronde siamo la prima band straniera a mettere piede qui a Yakutsk dai primi anni ’90, quando una band finlandese (che poi sarebbero diventati gli Him) suonò da queste parti.

La fila per l'autografo

Azzardiamo un soundcheak che si rivela un po’ faticoso a causa degli ampli dalle fattezze misteriose che ci vengono messi a disposizione. A Yakutsk, dice Toyla, è molto difficile acquistare amplificatori perché semplicemente… non esistono negozi che li vendono!
Sono le sei di sera e comincia ad affluire allo Sherwood gente della più disparata: punk con la cresta, impiegati che staccano dal lavoro, grandi bevitori locali, teen-ager all'ultima moda, antichi disadattati, generose signore in abito da sera... notiamo con gioia che alcuni paganti sono già ubriachi persi e strafatti prima di entrare. I più discreti si presentano e ci augurano buona serata, altri, più espansivi, ci fanno prigionieri e ci sommergono di domande. Alcuni si servono dello smartphone e del traduttore automatico di Google per comunicare!           
Prima di noi si esibiscono tre band local: i Filosofia, i Frozen East e gli CharmSS. La prima cosa da segnalare è che Tolya suona la batteria in tutti e tre i gruppi. Sospettiamo che sia l’unico batterista della Sacha-Yakutia! I Filosofia sono giovanissimi e suonano post-punk tipo Joy Division, se possibile ancora più dimesso e sottovoce degli originali. Sembra quasi abbiamo timore di disturbare... Quando attaccano gli CharmSS una densa coltre di nihilismo e autodistruzione s'impossessa della stanza. Il loro set è un attacco sonico slabbrato, scoordinato, cieco. Raw punk sparato alla velocità della luce senza l'ombra di una melodia, suonato come se fosse l'ultima volta prima della fine di tutto... Se esiste uno spirito del punk nella sua più pagana e primigenia manifestazione è qui, ora, in questo pacchiano bar di Yakutsk, e ha gli occhi a mandorla!

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Petja, il cantante degli CharmSS, che si era prsentato al locale con una vistosa fasciatura al braccio, ora si dimena selvaggiamente sul palco, e della spalla slogata non sembra interessargli affatto. Come tanti cantanti punk russi notiamo che non ha i denti davanti...

Dopo venti minuti di rumore bianco, gli Sharm SS si congedano lasciandosi dietro una scia di disagio e malessere, che saranno però i simpatici Frozen East a dissipare con il loro spensierato... ska-core anni ’90! Un genere musicale che è un po' come il mammuth: preistoria nel resto del mondo, qui però ancora attuale. Gli “Est congelato”, vent'anni fa, trapiantati nella Bay Area, non avrebbero sfigurato in cartellone di fianco a Skankin' Pickle e Less Than Jake (eroi dei nostri balli adolescenziali).


Tocca infine a noi, e fin dalle prime note è chiaro che il coefficente di rovina sarà altissimo. Il caos regna sovrano: amplificatori che si spengono, prese che saltano, feedback lancinanti, birre che si rovesciano...


Ciò che è accaduto al Bar Sherwood dopo il concerto non è chiaro: nessuno ne ha ricordi attendibili. Alcuni raccontano di essere stati coinvolti in una rissa tra ubriachi sedata da un nano, altri di essere stati segregati dal proprietario nella cucina del locale ed obbligati a bere vodka recitando la formazione della Juve del campionato 2001-2002, altri di essere stati agganciati da un punk siberiano con un ritratto di Mussolini tatuato sul braccio entusiasta per poter condividere con alcuni italiani la sua ammirazione per il duce, altri ancora di aver ricevuto in dono, per meriti sportivi, la sciarpa della sqaudra di hockey della yakuzia ... insomma tutte cose, vere o false che siano, alle quali nessuno crederebbe, e che quindi è inutile raccontare.

Il preside
Ad un certo punto del surreale carosello torniamo in noi: ehi, è tardi! E domattina alle sei dobbiamo salire su un aereo per Mosca! Il piano originario era: suonare, salutare cortesemente tutti e tutte e correre come antilopi a dormire, risvegliandoci belli freschi all'alba per raggiungere l’aeroporto a bordo di una Lada senza paraurti guidata da uno di quei misteriosi kirghisi che qui fanno i tassisti. Naturalmente non andrà così (a parte per quanto riguarda il tassista kirghiso), perchè un ostacolo si inframnezzerà tra noi e i nostri piani: il Preside. Non sarà infatti una banda di punkacci locali ripieni di vodka a farci tirare mattina, ma l'inappuntabile Preside dello yakutskaya gorodskaya natsionalnaya gimnaziya! Rincasiamo a scuola intorno alle due del mattino, e lui è lì, impeccabile, in giacca e cravatta ad accoglierci. Noi in compenso siano sporchi, malvestiti, puzziamo come capre malate e siamo pure mezzi ubriachi. Il nostro ospite ha fatto preprarare dai cuochi della mensa una cena d'addio per la nostra imminente partenza, a base di pizza, pastasciutta e torte nuziali fosforescenti. Estrae poi un paio di bottiglie di champagne russo (75 centilitri di malditesta in bottiglia) e, dopo aver brindato, inizia un solenne discorso di commiato che si apre in questo modo: "E' la prima volta che mi trovo nella mia scuola a bere champagne alle due e mezza del mattino: spero che i miei nemici non mi stiano guardando dalla finestra". 
A fine pasto sono le tre, ma il Preside è inesauribile. Colpo di teatro: si assenta per qualche minuto per ricomparire in abiti tradizionali ed accompagnarci, così vestito, a visitare la scuola. Ci guida fino alla stanza delle percussioni, invitandoci a suonarle. Noi, in preda ad un raptus sciamanico e ottenebrati dallo champagne sovietico, non ce lo facciamo ripetere due volte: ci scagliamo su di esse battendole brutalmente, e rompendone una. Ma a lui non interessa, perchè è il momento di mostrarci la sua collezione di campanellini:
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La collezione di campanellini del preside
Poi accende uno schermo al plasma appeso alla parete e, sull'immagine fissa dello stemma della scuola, risuoano le note di un motivo epico-orchestrale che seguiamo in religioso silenzio. Siamo pietrificati dall'emozione, ma soprattutto dall'incomprensione. Il nostro eroe ha riservato come ultima tappa del tour il suo ufficio privato, nel quale ci accoglie con la fierezza del grande preside siberiano. Da parte nostra, per ricambiare cotanta cerimoniosa ospitalità, l'unica idea che abbiamo è di donare un nostro disco al Ministero dell'Istruzione della Sacha-Yakuzia. Anche il preside non si fa mancare una classicissima richiesta da punk russo: "Grazie! Me lo autografate?". Purtroppo è ora di chiamare il taxi kirghiso e raggiungere l'aereoporto... abbracciamo tutti e tutte. Chissà se un giorno li rivedremo... ciao Preside, ciao Toyla, ciao Dima, ciao Kesha... ciao posto assurdo chiamato Yakutsk: resterai per sempre nei nostri cuori! Улахан махтал!

Leaving Sacha-Yakutia


Postilla: i Cholbon e il rock sciamanico della Sacha-Yakuzia
Il rock, nella Repubblica di Sacha, non è un fatto che riguarda soltanto l'epoca post-sovietica: durante il periodo comunista, esisteva una grande rock band proveniente dai villaggi dal distretto di Verchenviljujskij, nel bassopiano della Sacha centrale: si chiamava Чолбо́н, che in dialetto yakuziano significa stella del mattino, cioè Venere, secondo le credenze locali "la stella che porta il freddo". Formatisi nel 1986, i Cholbon vengono definiti dalla critica dell'epoca i "Pink Floyd della Tundra" (sic) e, sei anni più tardi, registrano il loro primo album di ampia distribuzione, con il torvo titolo di "Pietra maledetta". 
I brani dei Cholbon, con testi in lingua sacha ispirati alla natura e titoli semplici, come "Il fiore calpestato", "Qualche volta" e "Dimmi", vantano un sound unico, e decisamente audace: un incrocio inaudito di rock progressivo, funky all'acqua di rose e musica sciamanica, comunque sia ben radicato nelle tradizioni culturali della terra d'origine. "Pietra maledetta" (1992) alterna momenti malinconici ad altri più solari, ma sono sopratutto i pezzi barbarici irti di mistero come "Sotto il mio cielo", "Tramonto" e "Campo di battaglia" ad impressionare. Suggestivo è l'intreccio tra gli strumenti rock (sax, sintetizzatori, chitarra elettrica...) e quelli tipici della musica siberiana, come il vargan (che poi è il nostro, siculo, scacciapensieri!); detto questo, il meglio i Cholbon lo offrivano però dal vivo, come testimonia il pittoresco video che trovate di seguito. Buon ascolto e... mиигин кытта үҥкүүлүөххүтүн баҕараҕыт дуо? 

>>> Download Чолбо́н - "Проклятый камень" album (1992) in .mp3 (.rar - 100 mb.)

Cholbon (1987 circa)

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