31/05/09

[Punx from Russia - part 1]
RUSSIAN PUNK!
[Sarta] Durante la nostra discesa in territorio russo, diciamocelo, poco ci mancava che ci trattassero come vere rockstars: richieste di foto, autografi, osannamenti da fans esagitati… cose più o meno imbarazzanti. Naturalmente, abbiamo anche ricevuto regali di ogni tipo da parte di ragazzi di bands locali, ansiosi di farci ascoltare le loro performance sonore. Cito in ordine sparso: un punk smunto e crestato, che mi ha regalato dei bellissimi calamitosi della sua band, dicendomi che “siccome c’è solo un disegno senza il nome del gruppo, puoi usarli anche se non ti piace la mia musica” (uh, che pensiero!), un tizio tutto imbriago che mi ha dato un cd-r in una busta di cartone che aveva allegata una boccettina di vernice verde che serviva per “decorare” a proprio piacimento la copertina del disco (molto DIY!), un altro losco figuro che ha dato a Puj un disco infilato in un foglio di carta da pacchi graffettato e tenuto chiuso con un enorme e sproporzionato chiodo semi-arrugginito… tutte cose meravigliose, eh, eh….
Come abbiamo già descritto nel report, i punx russi sono giovani e dediti a generi musicali importati direttamente dall'occidente, roba tipo screamo e hc, suonati con perizia e precisione ma con rigore filologico estremo e conseguente scarsa originalità. In verità, quest’ansia d’imitazione, per quanto comprensibile, mi ha portato a chiedere alla nostra inossidabile guida Max, se fosse possibile definire un sound “tipico” della scena punk russa, un marchio di fabbrica, insomma, una matrice comune a livello di sound. Per tutta risposta, con aria di sfida, mi ha affibbiato un pacco di dischi da portare a casa, una sua personalissima selezione della storia del punk russo. Ecco cosa ci ho trovato dentro…

GRAJDANSKAYA OBORONA (Siberian punx from the soviet era) – Armageddon Pops (cd 1989)
[Sarta] “Very old siberian band” mi dice il buon Max. “Wow, questo fa per me!” penso io. Il disco è una raccolta di canzoni risalenti al 1989 (anno del crollo dell’Unione Sovietica) e ha una art work davvero fantastico: la copertina raffigura una sorta di attrezzo bellico sul quale è seduto un tizio disperato e a fianco si intravedono le gambe di un corpo inerme. Tutt’attorno, la steppa, immota. Questo quintetto dedit o ad un garage-punk a tinte folk è davvero originale: eccolo, il tipico sound russo!!! “I think it's really (and maybe the only) original punk-genre/pun k-style, which is specifically Russian – mi specifica Max - It could be hard for people from other countries listen to it, because the main thing in this music is lyrics“. Sarà, d’altronde anche nel libretto i testi sono tutti scritti in cirillico, ma già la musica è piuttosto particolare: grezzi mid-tempo con chitarre ora acustiche, ora ultra-fuzz, un basso groovy e un cantato con gusto per le melodie e gra nde espressività. Certo, la registrazione non è il massimo (le chitarre sembrano q uelle di un gruppo grind...) ma restituisce bene il suond. Ah, ultima nota: bellissime le loro foto all’interno del libretto, molto punk anni ottanta…scaricate e gustate….
[Puj] Aggiungo alcune note biografiche ad integrazione di quanto scritto da Sarta. I Гражданская Оборона ("Difesa civile") sono uno dei più noti gruppi punk russi dell'era sovietica. Si sono formati nel 1983 a Omsk, in Siberia (un posto non molto allegro). Il cantante, fondatore e unico componente fisso nel corso degli anni è stato il dissidente Igor Letov: morto d'infarto nel 2008, personalità contraddittoria e radicale, benché più simile ad un hippie sui generis che ad un punk, viene comunemente definito come uno dei pochi, veri punk anarchici della Russia comunista.
La musica dei GrOb, durante il periodo del regime, fu duramente osteggiata, a causa dei contenuti di protesta. Questo non impedì alla band di suonare in vari festival e raggiungere una certa popolarità. Letov, dopo la caduta dell'Urss, fu considerato una personalità discutibile, vicina ad ambienti nazionalisti. Lui si è sempre proclamato "un vero comunista"...

>>> Download GRAJDANSKAYA OBORONA - Armageddon Pops (.rar - 96 mb)

08/05/09

[Russian tour report]
KALASHNIKOV collective in RUSSIA!
Dopo un’epopea di pratiche burocratiche, a suon di passaporti, visti, scambi di mail in esperanto, fax in cirillico, prenotazioni sbagliate, malintesi, paranoie di ogni genere… venne il giorno! Il nostro tour sovietico ha inizio...
.
30 aprile: partenza. E arrivo.
Influenzati dal terrorismo sulle lungaggini aeroportuali legate ai viaggi verso la Federazione Russa ci presentiamo in quel di Malpensa con un anticipo imbarazzante. Per nostra fortuna il check-in e la spedizione dei bagagli si risolvono più rapidamente del previsto. Trascorriamo un’amena giornata nel cielo che separa Milano da Mosca, con una breve pausa all’aeroporto di Riga, in Lettonia. Atterriamo sconvolti nella capitale russa alle 23.00 ora locale. A questo punto, ecco finalmente prendere corpo le nostre paranoie sui controlli della polizia aeroportuale. Dopo tanta noia, un po' di paranoia. Compiliamo il foglio d'immigrazione ben attenti a scrivere correttamente i nostri nomi, cosa che dopo una giornata del genere risulta compito da non sottovalutare. Scorriamo a turno davanti all'omino dei controlli, stipato dentro il suo gabbiotto d’ordinanza. In questo non-luogo gelido, illuminato dai neon impolverati, aleggiano i fantasmi della Guerra Fredda. Il suddetto omino baffuto non degna nemmeno di uno sguardo il foglio d’immigrazione, da noi compilato con tanta dedizione; pone invece un’attenzione spropositata all’analisi delle nostre facce, nonché dei nostri passaporti; gli scorrono dinnanzi le foto dei seguenti personaggi: un killer slavo braccato dalla polizia (puj), un poeta esistenzialista francese degli anni ’30 (sarta), un bambino di terza elementare nella foto di fine anno (dino), un omicida seriale (don). Malgrado tutto, decide di concederci l’ingresso nella Grande Madre Russia.
Ci dirigiamo a ritirare strumenti e bagagli, materializzatisi dal nulla sul nastro trasportatore. L’impressione, in questi casi, è sempre quella del miracolo. Puntuali ad attenderci troviamo i tre contatti moscoviti: Tigran, punk-rocker di origini armene, Maxsim, intraprendente promotore della kalashni-musica in Russia e il serissimo Nikita. Quest’ultimo, tra i vari superpoteri che ha, annovera anche una conoscenza dell'italiano di gran lunga migliore di quella di alcuni nostri conoscenti. Diventerà per noi un prezioso mediatore culturale. Ci ammassiamo su un pulmino abusivo che attraversa la periferia di Mosca, diretti verso la prima fermata del metrò disponibile. Nella notte si stagliano mostruosi, ciclopici condomini, tutti uguali e tutti ugualmente mostruosi. Un assaggio dell’edilizia popolare di epoca sovietica. Ad un certo punto, tra due palazzi dall’aspetto mortifero, emerge un’insegna gialla e luminescente, in cirillico, ma inequivocabile: Ikea! Un assaggio della nuova Russia capitalista, globalizzata, protesa all’occidente e a tutte le stronzate ad esso sottese.
Scesi dall’infernale pulmino facciamo la sgradita conoscenza della metropolitana moscovita. Nei giorni seguenti impareremo a temerla. La tube sovietica si caratterizza per le enormi dimensioni, per la profondità e, conseguentemente, per la lunghezza infinita delle sue scale mobili: metti il piede sul primo gradino e a metà tragitto ti sei già dimenticato di dove stai andando. Uno dei nostri accompagnatori, intontito dalla ormai celeberrima logorrea di Sarta (conosciuta e temuta in tutta Europa), salta la fermata e il viaggio prende una brutta piega. Dopo appena due ore dall’atterraggio sbarchiamo finalmente al simpatico Godzilla Hostel, rifugio delle prime due notti a Mosca. Meno male che la mamma di Tigran ci ha preparato la cena. Vegan food a base di cetrioli, pomodori ed una pappetta viola composta da fagioli, bietola, cipolla e, forse, chewing-gum. Salutiamo i nostri amici (sono distrutti: per noi è l’una, ma qui a Mosca, per il fuso orario, sono le tre) e ci rendiamo conto dell'assenza di qualsivoglia liquido potabile nel giro di chilometri. Come zombi affamati di cervella ci rovesciamo nelle strade al fine di recuperare l'agognata birra-nanna. Questa zona di Mosca, con i suoi palazzi austeri e le sue strade deserte è alquanto suggestiva: incrociamo solo sbirri e sonnambuli ubriachi. Dopo aver girato come pazzi, ma dalla parte sbagliata, scopriamo che a pochi metri dall’ostello esiste un piccolo market aperto tutta la notte. Pedinati da una guardia del negozio, vestita da sposo bulgaro, acquistiamo una dose adeguata del nostro nettare prediletto. Buonanotte.
1 maggio: Mosca.
Svegliati bruscamente da un'ascia di luce che filtra tra le inutili tende della stanza, ci alziamo di buon ora e usciamo alla ricerca di qualcosa che possa ricordare, anche solo alla lontana, una colazione. Essendo il primo Maggio, diciamo, sarà un’impresa ardua trovare un negozio aperto! In realtà no, è tutto aperto. Vabbé. Puj e Lisa, ad un simil-Starbucks dal look (e dal prezzo) piuttosto occidentale, preferiscono una latteria di epoca sovietica, arredata in modo anacronistico. Al prezzo di 60 rubli (un euro e mezzo) consumano una tortina di mele cotte con la buccia e del tè incandescente che sgorga dal rubinetto di un imponente samovar. Ci becchiamo quindi con Maxsim e Nikita che ci accompagnano nei pressi della Piazza Rossa, agghindata a festa in occasione del primo maggio. E’ brulicante di babuschke, bancarelle di cimeli sovietici, soldati dalle divise sudice, mezzi militari della seconda guerra mondiale, ma anche di tanti nostalgici dell’era comunista che mulinellano, furibondi, bandiere rosse con la falce e col martello.
Notiamo che c’è polizia ovunque, una quantità impressionante di sbirri e soldati che cazzeggiano, malvestiti, ad ogni angolo di strada. Sono quasi tutti giovanissimi. Alcuni di loro indossano divise larghe e sformate, palesemente fuori misura, e questo li rende figure grottesche, un po’ deprimenti. Su di un palco allestito per l’occasione, circondato da imponenti cordoni di poliziotti e militari, si esibisce un cantante di inni sovietici accompagnato da una base di tastiera che nemmeno un piano bar della più infima categoria avrebbe il coraggio di proporre. “Totally crazy” è il commento di Max. Ci spiega che nella Russia di oggi esistono molti nostalgici del regime comunista, soprattutto tra le persone anziane che, con la caduta del comunismo, hanno perso molto di ciò che possedevano, sia a livello economico che di sicurezze di vita. Oggi in Russia i nostalgici del comunismo sono anche i nazionalisti, e sono quindi ideologicamente “di destra”. Anche le vecchie canzoni sovietiche oggi sono diventate inni nazionalisti! Ci allontaniamo pensierosi dalla Piazza Rossa per consumare un pranzetto tipico in un self service, ottimo e veramente economico. Il cibo russo non è così alieno come immaginavamo: è semplicemente una versione un po’ scondita della nostra cucina. Tanta verdura, patate a go-go e zuppe enigmatiche.
Finalmente si avvicina l'ora del nostro primo concerto russo. Dobbiamo imparare a fare i conti con alcuni aspetti organizzativi che caratterizzano la scena locale: per esempio, i concerti iniziano ad un orario in cui in Italia non si è nemmeno cenato e finiscono quando da noi solitamente sopraggiungono le prime linee di pubblico. Questo avviene anche perché in Russia sono pochissimi i ragazzi che hanno la patente e meno ancora quelli che possiedono un’auto, quindi tutti devono tornare con i mezzi pubblici, che finiscono di circolare intorno a mezzanotte. Considerando poi che Mosca è una metropoli gigantesca di 15 milioni di abitanti che misura circa 40 km. per lato, alcuni ragazzi impiegano anche un paio d’ore per tornare a casa! Nikita ci spiega come funziona la patente in Russia: ci si può iscrivere a scuola guida a 16 anni, anche se fino a 18 non si può guidare. Questo perché sono tre gli esami da sostenere prima di ottenere la patente, e tutta la trafila viene a costare una cifra spropositata, che solitamente un russo non può permettersi di spendere tutta in una volta. Così può capitare che si inizi a studiare per la patente a 16 anni, ma che solo a ventitre, ventiquattro si riesca a mettersi al volante!
Altra stranezza che appuriamo: oggi e domani suoneremo nello stesso posto, un locale chiamato Vse Svoi: due concerti in due giorni, sullo stesso palco! Lo Vse Svoi è un bar colorato con velleità davvero goffe di locale messicano (o cubano, non si capisce bene). E’ stato affittato per l’occasione, e non è propriamente ciò a cui siamo abituati: alle pareti color salmone spiccano foto di prosperose signore in topless, di uomini russi con i baffi a manubrio e di giovani ubriachi che festeggiano il compleanno; uno schermo al plasma di ultima generazione sovrasta la batteria. La proprietaria è una signora bionda con un vestito a fiori, che non gliene frega un cazzo del concerto, ma solo dell’incasso. I cessi del locale sono sfasciati e fuori norma.
Sembra di essere catapultati agli albori della scena h.c., quando gli squat o i club non esistevano e i concerti si organizzavano un po’ dove capitava, in luoghi del tutto inadatti ad ospitarli. Ovviamente, lo squatting “politico”, in Russia, e in particolare a Mosca, dove la Polizia e l’esercito sono dietro ad ogni angolo, è una pratica troppo rischiosa. Per non parlare della risaputa proliferazione di naziskin e nazionalisti. A Mosca non esiste alcuno spazio occupato da punx e affini, e pare proprio che la scena D.I.Y. sia molto poco politicizzata. La musica e la voglia di divertirsi sembrano prevalere su tutto, ed alcuni aspetti che solitamente gravitano attorno a questo ambienti, e che in Europa rappresentano elementi non certo di contorno, qui siano ancora lontani. Un gruppo come il nostro, che si dichiara ideologicamente anarco-libertario è visto con un misto di sospetto e ammirazione: tutti sembrano incuriositi dal messaggio che sta nelle canzoni che suoniamo o nei simboli che sfoggiamo. Comunque sia, molti ragazzi e ragazze ci conoscono da tempo e ci dimostrano grande entusiasmo.
Stentiamo a crederci, ma il concerto inizia veramente alle 19.00, con la luce fuori, come annunciato da Max! Fino alle 18.59 nella sala non compare nessuno, ma non appena viene rilasciato il primo riff di chitarra, come se la gente fosse nascosta chissà dove, l’ambiente si riempie. Suonano
Rearranged, Central Committee e Toxic Avengers. Tutti propongono un hardcore di gusto filologico, tutti più o meno orientati a riprodurre fedelmente alcune risapute formule occidentali.
Sorge a questo punto inevitabile una riflessione su quanto sia bizzarra quest’assoluta omologazione di genere. Come mai un ragazzo nato ai bordi della steppa ha le stesse cose da dire e le medesime modalità espressive di un ragazzo cresciuto al sole della California o nei sobborghi di New York? Insomma, il paradosso che emerge è che noi sembriamo ben più russi dei gruppi russi! Aldilà di questo, le bands se la suonano alla grande e sono tutte pazze. Il cantante dei Rearranged in particolare è una furia umana, che corre da una parte all’altra del bar, travolgendo ogni cosa gli si pari davanti.
La scena D.I.Y. moscovita, nel suo essere giovane e inesperta, ha dei lati davvero belli: vive ancora in una sorta di età dell’oro, e la voglia di divertirsi dei ragazzi è assolutamente travolgente. Tutto questo entusiasmo ci regala situazioni un po’ strane, tra le quali le numerose richieste di autografi che ci vengono rivolte! Quella dell’autografo è una pratica decisamente imbarazzante, estranea alle logiche della scena D.I.Y., ma che, in fondo, ci fa piacere, ci fa sentire importanti!
Il concerto è divertente, il pubblico esagitato. Una piccola controindicazione: è impossibile sentire quello che suoniamo. La situazione è precaria: si suona senza soundcheak, senza palco, senza spie, con gli ampli per terra e due casse messe su un po’ a caso. Rovina h.c.! La gente è presa bene, balla, si strappa i vestiti, si rotola per terra, Milena viene ripetutamente alzata dal pubblico e fatta ondeggiare tra la folla. Ad un certo punto un bambino che avrà avuto all’incirca sette anni, fa crowd-surfing! Pazzi russi!
Appena finiamo di suonare, con la stessa velocità con la quale era comparso, il pubblico sparisce. Noi facciamo ritorno in ostello: solito giro al market di fiducia, compriamo pane, pomodori e formaggio. Solito sposo bulgaro che ci controlla a vista. E’ inutile cercare qualcosa di vegan tipo tofu o seitan, in queste lande nulla di simile ha mai messo piede. Cena frugale e poi qualche ora di riposo per tutti…

>>> Download Kalashnikov VIDEO LIVE 1 may ’09 in Vse Svoi, Moscow (.flv - 61 mb.)
2 maggio: Mosca, again!
La terza giornata a Mosca è caratterizzata da un cambio di ostello, dal momento che salta il piano iniziale di questo mini-tour che prevedeva, subito dopo il concerto di questa sera, un trasbordo su un folkloristico treno notturno Mosca/San Pietroburgo. Purtroppo, non avendo prenotato un paio di anni prima non abbiamo trovato posto sul fatidico treno. Di conseguenza Max ha dovuto trovarci un’altra sistemazione per la notte.
In sostanza ci ricarichiamo addosso bagagli e strumenti e tipo processione sul crinale del Golgota ci avviamo alla nostra nuova residenza moscovita. Sudando l’anima, naturalmente, perché il proverbiale freddo russo in realtà non esiste: il pensiero di tutti va ai vari siti metereologici consultati prima di partire, che dipingevano situazioni climatiche da era glaciale. Più passa il tempo e più ci chiediamo se il caldo implacabile non sia dovuto al fatto che abbiamo sbagliato aereo e siamo atterrati a Tunisi. Più probabile è che il global warming stia compiendo i suoi disastri anche qui. Come tanti Totò e Peppino che sbarcano a Milano in Agosto, con pellicciotto e fiaschetto al collo tipo San Bernardo, ci aggiriamo per le vie di Mosca come poveri penitenti.
Il pranzo viene consumato nel solito self-service, con buona dose di brindisi di vodka, per festeggiare il compleanno del Don. Qui ci raggiungono alcuni amici conosciuti la sera prima, che inondiamo anch’essi di vodka. Allegri ed un po’ alticci, con diverse aspettative per il resto della giornata, decidiamo di dividerci: alcuni di noi si recano in Piazza Rossa per la visita turistica di rito, mentre altri optano per un meno folkloristico giro del quartiere, per spulciare una libreria e fare una previdente spesa per la cena notturna.
Tornati in ostello veniamo chiusi all’angolo da quattro tedeschi, ultrà dei Die Toten Hosen, a Mosca per seguire i loro beniamini. Cavoli, noi diciamo, fino a Mosca! Ma loro precisano di essere stati anche a Cuba e in Argentina, a supporto dello storico gruppo punk tedesco (al cui concerto, per inciso, noi non andremmo nemmeno se ce lo facessero nel cortile di casa, ah!ah!ah!…). Oh, i tedeschi! Amiamo questo popolo! Quando incrociano degli italiani vengono immediatamente colti da irrefrenabile buon umore, basta un “Berlusconi!”, un “Mandolino” e un “Vaffanculo” e, via, si diventa subito amici. Intessiamo un dialogo ricco di parole inventate, innaffiato da classica birr’urina della quale gli amici tedeschi sono sempre ben forniti. Naturalmente sono già tutti sbronzi, questo è ovvio. Quando ci raccontano che il giorno seguente prenderanno una nave da Mosca per fare una gita in mare realizziamo che, dato il fatto abbastanza risaputo, che a Mosca il mare non c’è, il tasso alcolico ha raggiunto vette montane. Decidiamo allora di salutarli, prima di rischiare di imbarcarci con loro, in questa crociera in un mare di birra.
Come ormai di consuetudine, alle 19.00 tutti allo Vse Svoi per l’inizio del concerto; il cartellone di questa sera si dimostra molto più vario rispetto a quella della sera precedente: ad aprire le danze:
Katja i Sasha, un duo chitarra/synth gradevole che scalda l’animo dei ragazzi presenti. Alcuni punx riescono a fare stage-diving su una ballata per chitarra e voce. A seguire: i Riot on the Radio, gruppo ukraino, di Kiev, con il quale suoneremo anche a San Pietroburgo. Tra tutti quelli con i quali ci siamo trovati a dividere il palco, gli ukraini sono sicuramente il gruppo più interessante; suonano disco-punk con elementi ritmici propri della dance abbinati a riff rock ben costruiti, con cambi di tempo e grande tiro. In Russia, benché non abbiano mai pubblicato un disco, sembrano essere molto conosciuti ed apprezzati. Il cantante è un satiro, salta e si sbatte, un vero frontman! La saletta dello Vse Svoi è un girone infernale, il pubblico balla alla grande e sudano anche le pareti. Gli stage diving sono multipli: inevitabilmente una pedata frantuma alcuni neon sul soffitto, dai quali fuoriescono gas nocivi. Sulle ceneri di ciò che rimane tocca agli Optimus Prime, gruppo giovanissimo che propone uno scremo di stampo occidentale, sicuramente molto più adatto alle nuove leve che a dei vegliardi come noi. Tocca quindi ai Kalashnikov: la sala è strapiena e la prima fila ci è talmente vicina che rischiamo di baciarci. Il pubblico è come sempre scatenato. I russi sono tutt’altro che freddi!
Col passare dei pezzi cresce in noi la convinzione di esserci resi colpevoli di un qualche grave torto nei confronti del Dio della Musica; inizia infatti ad accadere tutto: a Rissa si allenta il charleston, ormai esausto per le badilate ricevute; si stacca l’alimentatore dell’ampli di Sarta e il nostro supereroe, per tutta risposta, abbandona la chitarra e si lancia in uno stage diving suicida; una cassa travolge Annalisa mentre suona, ma viene salvata da Tiziana che la sorregge con le ultime forze. Gran finale: mancano ormai un paio di pezzi al termine della scaletta e Dino, per non essere da meno, inizia a vaporizzare e lanciare acqua mista a birra sul pubblico. Visto lo spazio angusto a disposizione, battezza la testata dell'ampli con mezzo litro d’acqua. Nello sconforto di Tigran (il proprietario), questa si spegne all'istante. A questo punto improvvisiamo una jam session, sulla quale si scatenano, malgrado tutto, cori e stage diving ultra-rovina, fino a chiusura del concerto per sfinimento.
Come da prassi, nel giro di trenta secondi la sala si svuota. Il “palco” viene smontato, a terra non si contano i danni. Che rovina rovinosa! Ci lasciamo alle spalle il povero Tigran intento a risarcire la proprietaria del locale per i danni subiti e torniamo in ostello dove consumiamo la consueta cena a base di pane e acqua. Poi: la morte apparente.

>>> Download Kalashnikov VIDEO LIVE 2 may '09 at Vse Svoi, Moscow [PART 1] (.flv - 68 mb.)
>>> Download Kalashnikov VIDEO LIVE 2 may '09 at Vse Svoi, Moscow [PART 2] (.flv - 95 mb.)
3 maggio. San Pietroburgo.
Ci alziamo di buon mattino e ci dirigiamo carichi come bestie da soma verso l’aeroporto. Ci attende questa volta un volo interno Mosca/San Pietroburgo in Aeroflot, compagnia di bandiera sovietica che nel logo conserva ancora la falce e il martello, come ai bei tempi andati. Anche gli aerei della compagnia paiono risalire ai bei tempi andati: il nostro, per esempio, è un forno volante dotato di comodi sedili di felpa.
Con le mutande sudate sbarchiamo a San Pietroburgo. Ad attenderci all’aeroporto il nostro contatto, Szarapow, un anarcopunk appassionato di lettura che ride come un pazzo ogni volta che pronunciamo qualche volgarità in inglese. Il senso dell’umorismo russo è davvero enigmatico: i russi ridono poco, anzi pochissimo. Nikita ci aveva raccontato che da loro, la figura del “comico”, come da noi, al cinema, alla televisione o a teatro, non esiste. Gli unici comici, come più o meno li definiremmo noi, sono dei vecchi teatranti stupidi che però non fanno ridere nessuno. Anzi, fanno piangere. Quindi fare breccia nell’umorismo degli amici russi è parecchio difficile: solitamente tendono a prendere tutto quello che si dice sul serio. Tuttavia, quando meno te l’aspetti ecco che pronunci qualcosa che per te non è assolutamente divertente, ma che scatena grasse risate negli amici sovietici. Tipo la parola “penetration” oppure qualche tentativo goffo di parlare in russo, che provoca ilarità incontrollata un po’ in tutti.
Szarapow si rivela contatto davvero efficiente: nel giro di pochi secondi ci ha organizzato le seguenti 24 ore. E’ interessante inoltre notare il suo aspetto, molto più vicino ai canoni colorati dei punx occidentali rispetto a quanto avevamo visto a Mosca, dove i ragazzi hanno un look più dimesso e ordinario. San Pietroburgo, che è molto vicina al confine finlandese, si presenta visibilmente più influenzata dalla cultura occidentale rispetto alla capitale. Mosca in effetti ci era sembrata una realtà abbastanza isolata, estranea, sotto molti aspetti, all'influsso occidentale. Un'impressione avvalorata da quanto ci aveva riferito Nikita riguardo alle difficoltà dei moscoviti a viaggiare in Europa: ottenere un visto per espatriare è snervante e complicato per la mole di documenti da presentare e per la programmazione meticolosa del viaggio che viene richiesta dalla burocrazia russa. Per chi vive a San Pietroburgo è invece più semplice entrare in Europa, perché molto più rapido è l'ottenimento del visto per l'espatrio in Finlandia, paese immediatamente confinante con la regione ove sorge San Pietroburgo. Dalla Finlandia poi si può raggiungere qualsiasi meta si desideri. Così i Sanpietroburghesi hanno occasione di entrare in contatto con la cultura europea molto più agevolmente rispetto ai moscoviti. Più liberi di conoscere? O più soggetti all'omologazione? Boh.
La metropolitana di San Pietroburgo ha in serbo alcune sorprese. Ci fermiamo alla Kacca (“cassa”, in cirillico) per acquistare i biglietti del metrò e scopriamo che i biglietti sono in realtà dei gettoni tipo sala giochi. Szarapow discute con l’anziana cassiera in merito ai nostri voluminosi bagagli che paiono non essere contemplati dal regolamento, e che necessiterebbero anch’essi di gettoni. Tipico dei russi è discutere per ore senza arrivare ad una soluzione: anche in questo caso il dibattito non sfocia in nulla, tant’è che la soluzione di Szarapow è “i bagagli non si potrebbero portare, ma noi li portiamo lo stesso”. Il nostro destino è in realtà nelle mani di un controllore, il solito cazzo di omino baffuto, che sta in piedi all’inizio della scala mobile e misura ad occhio le valige dei passanti per valutarne sommariamente la congruità o meno delle dimensioni, a sua totale e imperscrutabile discrezione. L’omino con i baffi appunta tutto su di un mistrerioso taccuino. A un certo punto, decide di bloccare Tiziana e le appioppa una multa per bagaglio gigante (effettivamente la sua valigia è più grande di lei). La multa ammonta a ben 100 rubli: circa 3 euro! Ma la vera punizione, scopriamo essere, non tanto il pagamento della somma, bensì l’attesa snervante durante la quale l’omino baffuto compila meticolosamente un verbale d’epoca sovietica di tre pagine, in duplice copia!
Un’ora dopo riusciamo a scendere nel metrò e a raggiungere lo Zoccolo Club, il locale dove suoneremo questa sera: è molto simile ad un club europeo, alla moda, ben lontano dagli squat ai quali siamo abituati. A differenaza che a Mosca, dove cibo e beveraggio non erano contemplati, ci viene offerta la cena:
pasta scotta con verdure crude. Forse perché un po' a disagio in questa simil-discoteca, ci rilassiamo con copiose quantità di vodka a stomaco simil-vuoto, adducendo a pretesto il compleanno del Don del giorno prima. La vodka russa è la panacea di tutti i mali: la serata prende una piega psichedelica, diventiamo molto socievoli e parliamo con tutti in una lingua inventata. Il concerto ha inizio.
Ad aprire un gruppo di giovanotti del luogo, i De Excelsis, con un cantante che ricorda spaventosamente Axl Rose, ma a 15 anni. A seguire gli ottimi Cheap Halo, funk-rock che ha l’innegabile merito di scaldare il molteplice e variegato pubblico presente. Noi, non precisamente assimilabili a ciò che verrebbe definita un persona sobria, siamo in prima linea. Sarta, come sempre il più diabolico, è libero e selvaggio, ma, da novello tarzan, viene sgridato dal fonico allorché si appende ad un traliccio del soffitto. Tutti gli altri si esibiscono semplicemente in stage-diving ad alto tasso di rischio.
Tocca ai Riot on the Radio, ormai amici carissimi come se ci conoscessimo dai tempi della scuola: si sprecano le pacche sulle spalle, gli abbracci e le battute in italo-ucraino. I Riot scatenano la solita bagarre, spaccano tutto con un live-set travolgente. Tant'é che il nostro di live-set non si dimostra all'altezza: è tardi, sono tutti stanchi, noi compresi e ci sentiamo un po' alieni all'ambiente. Il pubblico delle prime file risponde abbastanza bene, inneggiando e ballando, ma l'insieme non carbura. Abbiamo un po' l'amaro in bocca, perché questo è l'ultimo concerto in Russia e ci sarebbe piaciuto concludere meglio. D'altronde, è inutile negarlo, questo ambiente di club all'ultimo grido e gruppi disco-punk non è propriamente il nostro.
Mentre riflettiamo su quanto sopra, guadagnando il backstage, accade l'imponderabile: ci si avvicina un ragazzo con i dreadlocks; ci riferisce che lui ed alcuni amici sarebbero davvero lieti di organizzarci un concerto per la sera successiva. Dove? In uno squat anarchico di San Pietroburgo! L'unico spazio occupato in città e, supponiamo, in tutta la Russia. Hanno infatti saputo che l'indomani saremo ancora a San Pietroburgo e non vogliono perdere l'occasione di ospitarci. Si tratta di un concerto clandestino, un "secret show" che, vista la delicata situazione socio-politica russa, deve rimanere tale. Il ragazzo con i dreadlocks appunta su un foglietto il numero di cellulare per contattarlo, prima di scomparire nella notte. Noi affidiamo il foglietto a Sarta, che lo perde immediatamente, e facciamo ritorno in ostello...
4 maggio. A spasso per San Pietroburgo...
Mattina. Ci apprestiamo a vivere la nostra giornata da turisti nell’attesa di sapere qualcosa in più in merito al secret show di questa sera. Andiamo a fare colazione in un self-service in cui è difficile capire se le pietanze sono dolci o salate. Puj, per non sbagliare, pensa bene di iniziare la giornata con un trancio di salmone, panna acida e purè. Annalisa sorseggia un kompot (una specie di brodo di frutta, torbido e dolce) e Dino degusta una brioche ripiena di funghi e patate. Entriamo poi in un negozio di dischi usati mezzo disastrato, specializzato nella vendita di materiale pornografico. Sugli scaffali, troviamo dei buffi prodotti della discografia illegale russa: cd di mp3 che contengono la discografia completa di varie bands. Dino acquista per 50 rubli (1 euro) la discografia completa dei Satyricon da regalare a Son of Satan Sarta.
Ah, la Nevskij Prospekt! Appassionati di letteratura russa quali siamo non possiamo esimerci da una passeggiata lungo la celebre via principale di San Pietroburgo, la città che fu lo scenario del capolavoro del maestro Fëdor Mikhailovič Dostoevskij, l’immortale “Delitto e Castigo”. Cinque chilometri di prospettiva Nevskij a piedi, sotto un sole cocente, vestiti da esploratori polari, saranno il nostro personale castigo per un delitto mai commesso. A parte la stanchezza e il caldo, la città ci sembra bellissima: canali, palazzi d’epoca, chiese ortodosse e proto-pizzerie all'italiana. Alle 17, ora del tè, ci infiliamo in un bar con Szarapow e ci rifocilliamo con una bella birra alla banana (specialità del luogo). L’amico russo, a sorpresa, estrae una scacchiera e sfida i Kalashnikov al nobile, antico giuoco degli scacchi. Szarapow non è Kasparov, ma ugualmente spazza via in poche mosse il collettivo, in un’epica partita che vede protagonisti i tre cervelli di Rissa, Puj e Sarta, unitisi nell’occasione a formarne uno solo.
A questo punto, squilla il cellulare di Puj: è lo squatter con i dreadlocks. Concerto confermato. Appuntamento alle 20.00 davanti all’ostello. Con le stimmate ai piedi evitiamo di percorrere al contrario la via Crucis e optiamo per l’autobus. L’ennesimo castigo: questo servizio di sauna ambulante a basso costo, gentilmente offerto dall’amministrazione comunale di San Pietroburgo, è davvero efficiente, ma noi pensavamo solo di aver preso un cazzo di autobus. Per percorrere poco più di 3 Km., stipati all’inverosimile, a temperature equatoriali, impieghiamo un’ora. Il simpatico mezzo arranca a passo d’uomo imbottigliato in un traffico fantascientifico. Ad aggiungere disagio, c’è la bigliettaia: una babushka di novant’anni, che spietata si muove nella calca a riscuotere le somme dei biglietti. Il fatto che una vecchina sia costretta alla sua età a lavorare, e a fare questo tipo di lavoro, ci fa supporre che il welfare russo non funzioni ottimamente…
4 maggio. Secret show.
[Puj] Sono le otto di sera. Una vecchia auto di fabbricazione sovietica ci attende sotto l'ostello. Si apre la portiera e ne esce una donna dall’aspetto trasandato. Ci fa cenno di caricare tutti gli strumenti nel bagagliaio ingombro di spazzatura, pentole sporche e utensili arrugginiti. Szarapow e gli altri ci raccomandano cautela: il concerto si terrà in un condominio diroccato, in una situazione clandestina, che in Russia è piuttosto delicata. Alcuni di noi salgono a bordo dell'auto e partono, altri seguono gli squatter nella metropolitana. I ragazzi sono visibilmente tesi, si assicurano di non dare troppo nell’occhio e che nessuno ci segua: temono di incrociare qualche sbirro o di attirare l'attenzione di qualche testa rasata. Szarapow mi chiede di chiudere il giubbotto per occultare il simbolo dell'Animal Liberation Front sulla mia t-shirt. Ci incamminiamo lungo una strada secondaria che taglia una zona periferica della città, tra case dai muri scrostati e aree industriali in disfacimento. Tutti in silenzio, piombiamo in un romanzo di spionaggio dell'epoca sovietica…
Gli squatter di San Pietroburgo, aldilà del clima disteso che si respira in città (decisamente diverso dal rigore moscovita), rischiano molto vista l'altissima concentrazione di skinhead nazionalisti e sbirri. In Russia, a livello generale, serpeggia un’ostilità diffusa nei confronti dei movimenti anarchici, libertari ed ecoradicali. Tuttavia, a ben rifletterci, quelli che rischiano di più siamo noi: se la corrottissima polizia russa ci sorprende a combuttare con gli squatter e ci trascina in questura, è la fine. Possiamo dire addio ai nostri passaporti!
Giunti ai margini di una grossa strada di scorrimento Szarapow ci chiede di proseguire in piccoli gruppi, indicandoci un'apertura buia che conduce all’interno di un condominio in rovina. L’interno è odoroso di muffa, ingombro di calcinacci, vetri rotti e sudiciume. Un ragazzo ci accompagna con una pila lungo una scalinata senza parapetto, seguendo la quale accediamo al terzo piano. Il corridoio sfocia in una stanza finalmente illuminata, ricoperta di bandiere, simboli anarchici e slogan contro la polizia. Ecco a noi il primo ed unico centro sociale occupato dell'ex-Unione Sovietica. Senza nome, perché segreto! Dentro troviamo ragazze e ragazzi con i dread, le creste, i piercing, molto diversi dai giovani alternativi alla moda della sera prima. Nella stanza non c’è praticamente nulla: qualche panca, una finta spillatrice per la birra e una tavoletta di cesso appesa alla parate che fa da cornice ad una foto di Stalin. Ci sentiamo a casa! Il nostro ingresso è accompagnato da un entusiasmo sorprendente: è arrivato il gruppo anarchico dall'Italia! Ci rendiamo conto, con nostra somma sorpresa, che per gli anarco-punx russi la nostra presenza rappresenta qualcosa d'importante, in qualche modo un'impresa; sinceramente, possiamo capire poco di ciò che vivono questi ragazzi, tutti giovanissimi e inebriati dal mito della scena politico-musicale D.I.Y. europea, della quale, probabilmente, hanno un’immagine un po’ romantica.
Mi rifocillo con una birra: è la più economica sulla piazza, venduta in bottiglie di plastica da due litri, e viene riversata in un catino dalla quale viene poi successivamente spillata, per dar l'impressione della birra alla spina, che è più divertente! Esploro i meandri dell’appartamento abbandonato per trovare un posto dove sedermi a mangiare. Le stanze sono enormi, spoglie, diroccate, fiocamente illuminate dalla luce del tramonto che filtra dai vetri luridi. In una stanza con i muri ingombri di scritte in cirillico fatte con lo spray, compreso un grosso cazzo disegnato che arriva fino al soffitto, incontriamo alcuni punx intenti a fumare hashish, utilizzando un bong autoprodotto con un bottiglia di limonata bucata. Uno di loro, è felice di offrirmi da fumare, ma rifiuto perché sto svenendo dalla fame e dalla stanchezza, e dopo una canna sarei da tumulare. Mi spiace smorzare il suo entusiasmo, perché mi è parso davvero onorato di condividere il suo fumo con un ospite italiano. D’altronde, in Russia è difficilissimo trovare hashish: le pene previste dalla legge russa per la detenzione e il consumo di droga sono terribili! Io, Milena e Tiziana ci prepariamo alcuni osceni panini con funghi insapore. Un ragazzo ci si avvicina chiedendoci se abbiamo qualcosa da bere di analcolico, visto che questa sera deve guidare. Vengo a conoscenza di un altro aspetto peculiare della severissima legislazione russa: il tasso alcolemico tollerato al volante è pari allo 0% e le pene per gli automobilisti ebbri sono ancora una volta medievali nella loro spietatezza. Tiziana offre al punk il succo tiepido di pseudo-mela regalatoci dall’hostess dell’Aeroflot sul volo Mosca/San Pietroburgo. Che delizia.
Valutiamo la situazione tecnica per il live. C’è un solo ampli per chitarra, Sarta entrerà direttamente al mixerino 8 piste, c’è un ampli per basso, un microfono e pezzi di una batteria scalcagnata. Prima di noi, suona una band anarco-punk locale dal suono davvero crassiano; al microfono, il mitico Szarapow. Dopo venti minuti di concerto, l’imprevisto: lo spinotto del jack del chitarrista si spezza e rimane all’interno dell’unico ampli per chitarra a disposizione! Il pezzo va estratto, altrimenti non potremo suonare. Urge un intervento a cuore aperto, che viene eseguito con l’utilizzo di una pinzetta per ciglia, uno stuzzicadenti ed un cacciavite scassato; la partita all’Allegro Chirurgo dura una mezz’ora circa, vivacizzata dalle solite discussioni in cirillico un po’ teatrali dei russi. Il dannato pezzo di jack viene asportato e l’ampli rimontato.
Il nostro concerto è selvaggio: tutti i punx ballano, si rotolano per terra, la rovina è completa. Dopo la deludente serata allo Zoccolo Club, una boccata d’aria fresca. L’entusiasmo è travolgente! Purtroppo, per la sicurezza dei ragazzi e delle ragazze dello squat, non possiamo pubblicare foto troppo esplicite o filmati del concerto.
È mezzanotte e mezza. Ormai il metrò non circola più. Usciamo dal rudere e ci spostiamo in una strada laterale per non attirare l’attenzione di eventuali pattuglie. Un’amica di Szarapow, che sembra Ulrike Meinhof in incognito, si piazza in mezzo al viale con il braccio alzato. Dopo alcuni secondi un’auto accosta vicino al marciapiedi. Scopriamo che stava semplicemente chiamando un taxi. Le città russe, di notte, sono attraversate da centinaia e centinaia di tassisti abusivi: basta attirare l’attenzione e subito un’anonima autovettura risponde al segnale. Ulrike Meinhof contratta in anticipo il prezzo con il losco tassista e ci fa cenno di salire. Alcuni di noi scompaiono a bordo del taxi, altri dovranno aspettare i successivi. Io, Annalisa e Dino capitiamo su una Lada nera con sedili in pelle, guidata da Ivan Drago. Il russo, silenzioso, sfreccia per le vie di San Piteroburgo, semideserte e spettrali. Tornano a galla i fantasmi della russia sovietica: strisciano lungo gli angoli bui dei caseggiati austeri, sotto le auto arrugginite parcheggiate lungo i viali, scomparendo alla luce delle insegne al neon dei casinò, delle discoteche, dei nightclub che costellano le strade della nuova Russia capitalista, della quale tutti noi, in fondo, dobbiamo ammettere di non aver capito granché. Mi scorrono davanti al finestrino i volti dei ragazzi che abbiamo incontrato in questi giorni: Max, Nikita, Tigran, Szarapow… Persone molto diverse tra loro, ma tutte ugualmente generose. Sono animati da un entusiasmo sincero, con il quale cercano di districarsi in una realtà caotica, dai contorni sfrangiati e dall’identità sfuggente. L'impressione é che, forse, nemmeno i ragazzi russi sappiano bene che cosa aspettarsi dal futuro del loro paese...
L’autista del taxi è gelido, impassibile, un vero duro dei film. Ma la compilation in cassetta che gira nella sua autoradio tradisce un cuore tenero, offrendo a questa notte clandestina una romantica colonna sonora, vecchi successi soft-rock degli anni ’70 come I was made for loving you dei Kiss e Tonight's the night di Rod Stewart…