19/01/07

[We talk about...]
D.I.Y.! - parte III
[Puj] Ehi, punx! Schiacciate il pulsante "stop" del vostro lurido walkman a cassette e datemi retta: un po' di novità su autoproduzione passata, presente e futura.
* L’amico Piter, mente e braccio di
RadioRiot, label/distro/webradio e webzine d.i.y. di Roma, ci ha segnalato la disponibilità in rete di una tesi su autoproduzione e dintorni, realizzata da Francesco Alunni (laureatosi in scienze della comunicazione) e pubblicata, in veste artigianale e in tiratura limitata, da Salterò Autoproduzioni, ovvero Roberto degli Affranti (h.c. Savona). Sottotitolo: “INDAGINE SU UN CASO DI CONTROCULTURA UNDERGROUND IN ITALIA”. La potete consultare su diy-tesi.noblogs.org. I ragazzi dietro a quest’iniziativa hanno avviato un portale web sul d.i.y.: è agli inizi, ma è già fico: www.autoproduzioni.org.
* All’inizio del secondo capitolo della tesi di cui sopra, si fa riferimento ad una celebre e gloriosa “performance punk” degli anni d’oro, un episodio di comunicazione autenticamente antagonista: durante una convention di sociologi a Milano, occasione nella quale si volevano pubblicamente esporre i risultati di una sedicente indagine sul teppismo metropolitano e sulle bande giovanili violente (!), Atomo e Gomma, due punx milanesi (Atomo è l’attuale
Atomo Tinelli, consigliere del Comune di Milano) fecero irruzione nella sala, sfregiandosi il petto con delle lamette da barba ed offrendo il prorpio sangue come materiale di studio per i sedicenti ricercatori universitari.
L’episodio, esperimento di contestazione efficace e vincente, è documentato con dovizia di particolari (filmati originali, rassegna stampa, interviste ai protagonisti…) nel libro/dvd di recente uscita
“Punx: creatività e rabbia” (Shake edizioni), a cura dello stesso Gomma, e contenente vario materiale sulla scena punx milanese degli ‘80. Il prezzo (17 euro e cinquanta) è poco punk, ma i contenuti sono discreti: oltre ad un documentario sull’episodio del sangue, è incluso nel dvd il vecchio film sul Virus (documento sulla realtà occupata autogestita di via Correggio a Milano, già edito in vhs da Shake una decina di anni fa) ed altro materiale video di qualità altalenante (molto punk, naturalmente…) sulla Milano-da-pogare dell’epoca. Valutate voi se considerare operazioni editoriali come questa commemorative, nostalgiche, archeologiche o semplicemente commerciali: secondo me, entrare in contatto con quella che era l’espressione antagonista di allora, oggi, in un’epoca in cui la comunicazione è praticata da punks e contestatori vari con metodi perlopiù vecchi e mutuati dalla cultura ufficiale, può comunque essere di buona ispirazione, a patto, naturalmente, che non se ne deducano, come al solito, pratiche di emulazione pura e semplice...
* Restando in argomento di reliquie sulla scena h.c. italiana degli anni ’80, segnalo infine la recente uscita del volumetto
“Lumi di Punk” ad opera di Marco Philopat, raccolta di interviste a protagonisti dell’epoca e testimonianze varie. Non l'ho letto, e chissà se lo leggerò mai. Detto questo... au revoir!

07/01/07

[We talk about…]
MUSIC! – parte 3.
[A ingarbugliare il discorso su forma/contenuto nella musica antagonista, un volantino d’annata distribuito dai Detonazione al pubblico di un loro concerto, Udine 1983. Di nuovo in campo l’esigenza di accordare forma e volontà dissidente, qui espressa con assoluta chiarezza e linearità. Come non essere d’accordo?]
Ci piacerebbe che si discutesse di più del rapporto che intercorre fra tendenza politica e forma musicale, e questo volantino vorrebbe essere uno stimolo a farlo. A nostro parere il capitalismo è in grado di assorbire e neutralizzare qualsiasi opinione, qualsiasi sia la forma che la “riveste”. E ciò perché è la forma stessa che nel momento in cui si sclerotizza, neutralizza il messaggio che contiene. Il problema, però, si risolve se questo veicolo (la musica) su cui noi vogliamo fa viaggiare le nostre idee, viene continuamente reinventato, stravolto senza fossilizzarsi sui soliti schemi, solitamente importati dall’estero. Creare musica originale, personale, anticonvenzionale, è una pratica eversiva straordinariamente efficace in un mondo dove vorrebbero farci essere tutti uguali, grigi e privi di fantasia. Se la musica è un mezzo per favorire la crescita collettiva ed individuale, è ovvio che essa dovrà seguire, o meglio precedere questa crescita, e non rimanere perennemente uguale a se stessa.

04/01/07

[We talk about…]
MUSIC! – parte 2.
[Di seguito un articolo originariamente apparso sul n. 1 di “Subvert”, Torino 1985. Una risposta al problema del rapporto forma/contenuto nella musica-comunicazione, evocato qualche riga fa: la politica e la rivoluzione non stanno nella musica, ma fuori, nelle prassi!]
Alla diatriba tra musica colta e incolta, tra musica di massa e d’avanguardia, tra rock’n’roll e rumoristica, rispondiamo col controllo totale delle nostre molteplici forme comunicativo/espressive, al di fuori della logica del businness e della spettacolarizzazione dei fenomeni, comunque non riducibili a merce. Le etichette “vero” o “falso” possono essere forse applicate in senso rivoluzionario ad un tipo di espressione (la musica) che non può far altro che partire da schemi o codici? Ovvero: esistono sette note codificate, ma dal “do” al “re” ci sono infinite sfumature difficilmente schematizzabili, tutte “vere” e tutte “false”.
Davanti a chi ha scelto la musica come forma di comunicazione ed espressione si pongono diverse strade da seguire, più o meno pedestramente, più o meno creativamente, ma il vero effetto di dirompenza (la musica sovversiva) avviene dietro la sequenza di note e rumori proposti; avviene nel momento in cui chi fa musica si pone in termini rivoluzionari, sceglie di non scendere a compromessi o patteggiamenti con le Grandi Regole dello Spettacolo, senza cioè rispettare le formule imposte di merce/consumo/alienazione, senza che il (falso) bisogno sia esso stesso creato dall’offerta.
La creatività individuale non è quasi mai scollegata da regole universalmente date per scontate. Come sostiene argutamente Lunari (critico non rivoluzionario, ma senz’altro arguto): “… con buona pace di coloro che si illudono di fare stracci del passato, il più rivoluzionario sfegatato protagonista dei brani musicali del gruppo più superextrahardpostpunk è perfettamente in linea con una tradizione inaugurata nel MedioEvo da chissà chi e codificata intorno al 1300 da Philippe De Uitry, che fin d’allora la chiamò Ars Nova…”. Ed effettivamente è troppo pretendere che ogni creatore di musica (rivoluzionaria) distrugga in ogni suo momento creativo il bagaglio di influenze emotive, culturali, di approccio, di legami col passato e col proprio vissuto musicale.
Non si può pretendere in nome dell’iconoclastia a tutti i costi, da chi produce musica, una costante e continua distruzione di codici e cliché. Non è qui allora che bisogna ricercare il modo per uscire dalle regole, ma nell’autogestione delle proprie forme di espressione e nella distruzione, per quanto è possibile, dei concetti di “consumatore”, di “pubblico” da un lato e di “creatore” dall’altro. La strutturazione di un mercato alternativo, aldifuori dell’industria discografico/musicale, portato avanti senza mediazioni rispetto all’assurda dicotomia domanda-offerta-domanda e con la più totale autogestione del prodotto, dalla sua creazione, alla sua diffusione e distribuzione, è senz’altro il passo decisivo per far assumere alla comunicazione musicale una dirompenza rivoluzionaria. Non rispetto alla qualità del prodotto, ma rispetto ad una metodologia di riappropriazione della propria espressione e della propria voglia di contatti liberi col mondo. La musica alienata, di per sé non esiste: sono i rapporti sociali e di produzione funzionali al sistema che produzono alienazione. Il fatto che una creazione musicale si muova all’interno di una serie di cliché e di schemi non sta necessariamente a significare che il creatore e i rapporti che la sua creazione attiverà siano inseriti in una logica di potere che usa la musica come forma di instupidimento e alienazione. Questa non è “autogestione della miseria”, ma un tentativo di uscire dalla misera e disumanizzante logica del sistema.