18/06/13

[Kalashnikov tour report]
Kalashnikov collective live! 3/5 Udine, 4/5 Zagabria, Croazia.
[Puj] Friuli, terra di confine. Noi forestieri intercettiamo subito questo clima che sa di ultima frontiera.
Che il Friuli sia una realtà speciale lo si capisce dalla perseveranza e dalla fierezza dei vecchi punkettoni locali come Ezio e Sandro, da quelli meno vecchi come Beppe, Pavel e Frisco: gente che riesce a compattare le poche forze in campo, costruire occasioni di socialità autogestite e serate poetiche come quella che abbiamo trascorso a Udine. 
Il nuovo Spazio Sociale sorge in una vecchia area militare dismessa, tutta in rovina. Per magia, i compagni e le compagne di Udine hanno messo in piedi una simpatica situazione hippie-punk da vecchissima scuola con cena seduti tutti al tavolaccio, a gustare dell'ottima pasta con gli asparagi (è la stagione). 
Il concerto si svolge semi-improvvisato, con mezzi di (s)fortuna, senza palco, sotto la luce bianca delle lampadine. Mixerino otto piste, una barriera di bancali per ovattare il suono della batteria che altrimenti esploderebbe in un frastuono, riecheggiante nell'immnenso casolare dove si suona, a metà tra una stalla e una salina...
Ad aprire le danze ci pensano i Minoranza di Uno, vecchi punx locali (ex Spacciatori di Musica Stupefacente e Teatro delle Ombre). Il loro concerto va giù liscio come un bel bicchierone di vino artigianale bevuto a garganella: Sandro, Pavel, Beppe e Frisco (che purtroppo non ha a disposizione una cassa spia per metterci il piede sopra e darsi un tono da metallaro mentre fa gli assoli), assieme al nuovo arruolato Matko, sparano il loro punk veloce, come sempre ispirato ai Kina, con la sapienza che è propria solo dei saggi della rovina hc. Noi suoniamo davanti alla Udine punk frizzante e gioiosa, felici di poter condividere la situazione di questo nuovo spazio occupato reso vivo dallo sbattimento delle ragazze e dei ragazzi presenti, e sottratto all'abbandono di una società che non sa che farsene...

Friuli punx
Scarsa convinzione sulla correttezza armonica degli intervalli...

Dopo il concerto tutti a casa di Sandro a Cormons, a pochi passi dalla Slovenia. Sandro é un padrone di casa impeccabile e premuroso: si prende cura di noi. Ci fa riposare e rifocillare, perché l'indomani ci attende una mattinata di duro lavoro: il giro dei bar a bere gli spritz. Non uno, non due, non tre, ma quattro bar. Non uno, non due, non tre, ma cento spritz! Uno tsunami di acqua e vino. Non parlate ad un friulano di quella cosa che nei locali degli aperitivi milanesi chiamano spritz: lo spritz vero è un bicchier di vino con un po' d'acqua dentro. Al massimo ci puoi infilare una fetta d'arancia (se lo spritz è rosso) o di limone (se lo spritz è bianco). Non è che devi avere molto per fare uno spritz: basta del vino e un rubinetto. A Cormons infatti lo trovi da tutte le parti: pure dal panettiere c'è un vecchio signore che ti fa un bello spritz dopo che hai comprato il pane. Comunque sia, la giornata è bella, l'aria cristallina, e noi abbiamo parecchia sete. Rispettiamo senza fiatare il fitto tabellino di marcia al quale Sandro ci sottopone. Poi torniamo a casa del nostro condottiero, ma lui ha lasciato le chiavi a Frisco che nel frattempo è andato a far la spesa e quindi siamo chiusi fuori. Non c'è problema: c'è un altro bar lì vicino, per uno spritz d'attesa.
Sandro, che è previdente, mentre facevamo colazione, era andato a prendere il vino sfuso. Così a pranzo svettano sul tavolo due belle caraffe che ci permettono di non perdere il ritmo. Durante il pasto, Sandro ci intrattiene con racconti da vecchio punk di frontiera, di quando andava nella yugoslavia comunista a vedere i concerti, e rimaneva sorpreso di quanto all'epoca gli slavi fossero musicalmente più brillanti di noi, oppure delle sue gesta di calciatore semi-professionista, di quando l'intervallo tra un tempo e l'altro lo passava al chiosco con una birra in mano anziché nello spogliatoio...

Convivialità a Cormons

Un commensale non-umano reclama il suo spritz...

Detto questo, belli carichi di umori friulani, saliamo sul furgone e sgommiamo verso Zagabria... 
Siamo soliti immaginare le città come agglomerati di forma circolare, con un centro, una periferia, tante vie che dal centro portano alla periferia e alcune grosse strade che ne disegnano la circonferenza. Zagabria però è tutta un'altra cosa, perché ha la forma di un merluzzo, con una specie di lisca centrale che l'attraversa in tutta la sua lunghezza. E' difficile orientarsi: quindi, ogni volta che ci mettiamo piede, ci perdiamo immediatamente. Con lo sguardo dei bambini spaventati, percorriamo la solita strada sempre dritta che non porta da nessuna parte; ai bordi sorgono alcuni vecchi inquietanti edifici, esempi di brutale architettura socialista dell'epoca di Tito... 

Zagreb brutal - 1
Zagreb brutal - 2
Zagreb brutal - 3

Matija ci accoglie al cancello dell'ACK Medica di Zagabria; l'incontro è tiepido, nello stile croato, lui è un po' in sbattimento, ma i croati li conosciamo, sono sempre un po' sulle loro, ridono poco, il più delle volte ti lanciano occhiate torve; sembrano perennemente sull'orlo di incazzarsi (poi, a volte, si incazzano anche). Però sono molto ospitali: soltanto non c'è d'aspettarsi che si tuffino in clamorose manifestazioni d'affetto (almeno da sobri). E comunque ci sono anche i croati che non sono né ospitali né affettuosi, bensì temibili come hooligans ansiosi di buttarla in rissa. Uno di questi è un gigante rasato con il collo che sembra un tronco: piglio da capocurva, tuta da ginnastica e un sacchetto della spesa pieno di birre. Sta seduto ai bordi del cortile con il suo sacchetto, stappando una birra dopo l'altra...

L'Autonomni Kulturni Centar Medika

Nel frattempo è pronta la cena. Paese che vai, rancio che trovi! Se in Francia, negli squat, con ogni probabilità ti troverai davanti ad un piatto di cous-cous, nell'ex yugoslavia stai sicuro che mangerai... minestra! E infatti eccola puntuale la zuppa bollente di cavolo e cipolle che ci rovesciamo regolarmente sui piedi prima che arrivi alla bocca. Matija appoggia sul tavolo anche una bottiglia di plastica con dentro del vino bianco, precisando: "E' per voi, ma non è un granché...". Non è un granché? Cazzo, è dopobarba allungato! Succo di Arbre Magique! Che bombetta! Bacco, dio del vino, vieni giù a berne un bicchiere e prendi atto di rappresentare anche questa categoria di liquidi che la gente locale chiama "vino"!

L'ACK Medika è uno squat di quelli grandi come un isolato, con bellissimi murales e già un sacco di gente dentro. Mentre passeggiamo rimirando i muri colorati, il don inciampa clamorosamente nella riserva di birra del croato gigante, infilando il piede in uno nei manici del sacchetto della spesa, trascinandolo per un po'. Tremiamo di paura, ma, a sorpresa, il coraggioso tastierista italiano se ne sbatte e non degna il bestione di uno sguardo, anzi se ne allontana infastidito. E quello capisce di avere a che fare con un vero duro, così tiene lo sguardo basso, borbotta alcune bestemmie in croato contro il popolo italiano e stappa l'ennesima lattina. Così, prendiamo esempio dal don e ci mettiamo tutti a fare gli spacconi, sfoderando un certo sense of humor tutto nostrano che crea solo imbarazzo nei nostri interlocutori a digiuno di ironia. Come la ragazza dietro al bancone delle birre, che quando le chiediamo una birra croata (per mostrarci interessati alla cultura enogastronomica locale) ci passa una Heineken. Che sia più spiritosa lei di noi? La nostra spiritosaggine si placa definitivamente quando veniamo fermati dal butta-fuori che ci controlla i pass. Sappiate che il butta-fuori, negli ex paesi socialisti è una presenza fissa. E' solitamente una figura triste, che non c'entra mai nulla con quello che gli sta attorno, é lì, fa il suo lavoro sporco e solitamente lo fa in maniera del tutto inopportuna. Questo, in particolare, è spaventoso: ha gli occhi completamente neri, una ricca e variegata collezione di cicatrici in faccia e quel che resta di un naso. Aiuto!
Incappiamo in un altro personaggio col fisico da pugile e il collo da dinosauro, ma buono come il pane e sorridente come un orsacchiotto gigante: è Rasha di Belgrado, un nostro vecchio amico che è venuto dalla capitale serba per vederci! Bando alle ciance, inizia il concerto: sappiamo che per liberare il calore e la passione dei croati bisogna iniziare a suonare. Solo allora si capisce quanto amore sia rinchiuso dei cuori dei ragazzi e delle ragazze di Zagabria!



Suoniamo come pazzi e tutti sono contenti. Durante il concerto compare sotto al palco anche il gigante croato. Balla, canta e si diverte, come durante una finale Champions League. Spiace poi che di lì a poco, durante una colluttazione con un tizio greco, sia finito con la faccia sul pavimento ingombro di bottiglie rotte, firmando con il sangue il suo finale di serata. Beh, c'est la vie, amico mio!

[Kalashnikov collective performing "Nere sono le cinghie dei fucili" in ACK Medika (Zagreb, Croatia) 4/5/2013]

"Il palco non è un limite invalicabile!".
[Kalashnikov collective performing "Sonja contro la Grande Distribuzione" in ACK Medika (Zagreb, Croatia) 4/5/2013. Tutt* sopra!]

[We talk about...] 
Il driver! Uno sporco mestiere... 
Per questa tre giorni ad est, dato che Claudio aka Barba aka Pupazzo di Rakjia (il tradizionale driver del collettivo) non aveva ottenuto le ferie dal lavoro di bibliotecario con cui sopravvive (complice uno sleale slittamento delle date ordito da Sarta), abbiamo avuto modo di conoscere il losco figuro qui sotto ritratto. Marco Carloni, professione driver. In effetti, la professionalità c'è stata tutta: si è premurato di caricare le centinaia di cianfrusaglie che ci portiamo dietro (noncurante della legge della non-compenetrazione dei corpi), ha gestito il banchetto durante i concerti, ha litigato con un'anziana signora all'autogrill ed ha pazientemente subìto la logorrea di Sarta.
Si è presentato puntuale con il suo furgone dal grazioso arredo interno autoprodotto in mogano, armato di sacco a pelo e cuscino bianco nonché profumato per la notte. Peccato che quest'ultimo, cadendo accidentalmente nella prima fase di carico, sia subito finito sotto la ruota posteriore sinistra dell'automezzo, lordandosi in maniera invereconda. Dura la vita del driver! 


Mister Marco Carloni nella malinconia di una squallida distro...

13/06/13

[Free music for punx]
Storie di alcool, droga e rock'n'roll...  al POLO!
[Puj] Igloolik è una cittadina di millecinquecento abitanti che sorge sull'omonima isola, nella regione candaese di Nunavut. Igloolik, in lingua inuktitut (cioè la lingua delle popolazioni native) significa semplicemente "luogo dove ci sono igloo".  In effetti, sull'isola, che sorge intorno al 69° parallelo, dove c'è il permafrost e non cresce vegetazione alta più di un dito, fino a poco tempo fa c'erano solo igloo; poi negli anni sessanta sono arrivati i prefabbricati, e la popolazione locale ha smesso di vivere negli igloo. 
Se cercate del buon hard-rock à la Black Sabbath, Igloolik non sembra il posto ideale dove trovarlo. E invece vi sbagliate, perché lo troverete: ve lo suoneranno i grandi Northern Haze! Rimarrete sorpresi dalla qualità del proto-metal stile Cirith Ungol/Manilla Road rigorosamente cantato in lingua inuit di “Sinnaktuq”, stampato nel 1985 in cinquecento copie, grazie all’interessamento della CBC Radio di Ottawa. 
Naisana Qamaniq, Kolitalik Inukshuk e Elija Kunuk impararono a suonare con strumenti giocattolo e misero in piedi la band alla fine degli anni '70, nella sala prove della scuola. Hanno fatto qualche concerto e hanno avuto il loro quarto d’ora di (scarsissima) notorietà, per poi sparire nel nulla. Certamente una storia che li accomuna alla maggior parte delle band del mondo,  ma... 

I Northern Haze di Igloolik (primi anni '80)
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...occorre però riflettere sugli ultimi cento anni di storia delle popolazioni native americane dell’immenso nord per comprendere appieno il significato e il contesto della musica di questi quattro simpatici, sorridentissimi eschimesi; facciamolo, partendo proprio dalla parola “eschimese”, che tutti gli occidentali usano  per indicare i popoli dell'estremo nord, non sapendo che in realtà si tratta di un termine dispregiativo, che significa: "mangiatori di carne cruda", per altro assurdo se si considera che gli Inuit hanno sempre cotto il cibo! L’etimologia di eschimese ci suggerisce qualcosa sulla scarsa considerazione nella quale furono tenute le popolazioni native da parte dei coloni europei, e successivamente dai governi dei paesi colonizzatori. 
Per secoli e fino agli anni ’50 del XX secolo gli Inuit canadesi sono vissuti nell'isolamento; fino all’arrivo della cosiddetta civilizzazione, ritenevano che il mondo fosse nient'altro che una sterminata pianura congelata. Infatti, si definivano “Inuit” (“gente”), ritenendo di essere l’unico popolo esistente sul pianeta. Non avevano alcuna idea del futuro e del passato: la natura era l'unica divinità da amare e temere. Ad un certo punto, questo popolo di cacciatori nomadi, in totale simbiosi con il proprio ecosistema, entrò in contatto con mondo occidentale e si trovò inserito in un’organizzazione sociale del tutto nuova, imposta con la forza. 

Le strade di Igloolik
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Negli anni della Guerra Fredda, quando l’estremo nord del continente americano assunse una crescente importanza strategica, il governo canadese iniziò ad interessarsi alle terre selvagge e a “prendersi cura” delle popolazioni dei nativi; furono date loro case moderne, acqua corrente, cibi confezionati, elettrodomestici, stufe elettriche, alcoolici… insomma, vennero fornite loro le condizioni per poter praticare uno stile di vita stanziale e, naturalmente, svolgere un qualsiasi lavoro salariato ed alienante.      
I bambini inuit furono prelevati dalle famiglie e inseriti in collegi (le cosiddette “scuole residenziali”) dove studiavano la storia dei canadesi e imparavano l’inglese; luoghi dove si dimenticarono (o meglio, furono costretti a dimenticare) la propria cultura d’origine. In queste scuole, più di 130 in  tutto il paese, i bambini subirono violenze fisiche e psicologiche, e molti, addirittura, morirono.

I Northern Haze live!
Solo nel 2008, dodici anni dopo la chiusura dell’ultima scuola residenziale per nativi, il Governo canadese ammetterà l’orrore di un'assurda politica d’integrazione: si arriverà ad utilizzare la definizione di olocausto canadese per rendere l'idea di quella silente ecatombe, i cui contorni, ancora oggi, non sono per nulla definiti. 
Oggi gli Inuit sono usciti dal loro isolamento e combattono per tutelare la propria identità, ottenendo purtroppo scarsi successi: il riconoscimento, avvenuto nel 1991, dello stato canadese di Nunavat non è certo bastato a risolvere i problemi che affliggono la società degli Inuit, funestata dall'alcolismo, dalla tossicodipendenza, dalla violenza e da una altissimo tasso di suicidi. L’alcolismo in particolare, è una piaga devastante ed è causa della maggior parte dei casi di violenza domestica e suicidio: in Alaska, ad esempio, in molte cittadine a maggioranza indigena, è vietato il possesso di alcolici; così, per ovviare alla scarsità di alcool o ai prezzi esagerati di quello di contrabbando, molti ripiegano su bevande alcoliche alternative: collutorio, profumi, lacche ed altre sostanze a base d’alcool, che causano ovviamente gravi danni fisiologici. 
Sradicati dalle proprie tradizioni, impossibilitati a vivere un rapporto armonioso con la natura che li circonda, i nativi vengono afflitti dall'apatia, dalla frustrazione e dalla solitudine che lo stile di vita occidentale, a loro brutalmente imposto, comporta. L'abuso quotidiano di alcool e droghe diventa l'unico modo per evadere dallo spaesamento e dall'assenza di prospettive di una vita in mezzo al nulla. Detto questo, se oggi chiedete ad un abitante di Montreal, di Quebec City o di Toronto che cosa pensa dei problemi degli Inuit, risponderà molto probabilmente "Mmmh... chi sono gli Inuit?".     
Tornando quindi ai Northern Haze, si percepisce come il rock abbia assunto un ruolo tutto particolare per i four horsemen di Igoolik:  fuori dalla sala prove, più pericoloso del gelo artico, li aspettava, tutti i giorni, un freddo esistenziale dal quale non è facile ripararsi. La storia dei Northern Haze comunque non finisce qui: nel 201o i superstiti della band hanno ripreso a suonare e sono stati protagonisti di un documentario girato da un regista inuit proprio sulla loro vicenda! 

>>> Download NORTHERN HAZE "Sinnaktuq" [extract] in .mp3 (.rar - 15 mb.)

La base di ricerca Rothera sull'isola Adelaide, Antartide.
Cambiamo polo, ed anche registro... Se vi capita di passare per la base di ricerca di Rothera, Adelaide Island, in Antartide, date un'occhiata in giro, perché può darsi che quella sera suonino i Nunatak, l'unica band esistente di rock antartico. Qui non parliamo di nativi locali (che in ogni caso sarebbero pinguini), ma di ricercatori inglesi che, in preda alla disperazione, hanno fondato una rock-band per ingannare il tempo durante la notte antartica (che dura circa 6 mesi) ed allietare le serate, non certo frizzanti, degli abitanti della base.
I Nunatak sono formati da cinque inglesi (un metereologo, un biologo, una guida polare e due ingegneri) che vivono alla base permanente di Rothera, per studiare l'ecosistema locale e i cambiamenti del clima in Antartide. "Nunatak" in lingua Inuit, significa "Montagne circondate dal ghiaccio". 

I Nunatak live al Polo Sud.
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I temi trattati nei testi dei Nunatak vertono sul fenomeno del riscaldamento globale e sulla (in)sostenibilità del nostro stile di vita per l'ecosistema terrestre. Non siamo di fronte ad una band eco-radical primitivista, ma ci accontentiamo. Nel 2007 i Nunatak hanno avuto l'occasione (unica) di esibirsi di fronte ad un pubblico di gran lunga superiore a quello dei 17 colleghi che vivono con loro alla base di ricerca, in occasione del Live Earth.
Una curiosità: l'esibizione dei Nunatak non è stata la prima esibizione di una rock band sul suolo antartico: la band cilena dei Los Jaivas, nel 1983, ha avuto la brillante idea di girare un video al polo sud, sbarcando con un aereo nel Territorio Antartico Cileno e strimpellando un pezzo in playback, alla temperatura di -30 gradi centigradi! Un gruppo di idioti?

09/06/13

[We talk about...]
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO CAMUNO!
[Pep] Il nostro amico Dani, storico membro degli Ebola, ha dato vita ad un'iniziativa antipsichiatrica che vogliamo segnalare, il Camap (Collettivo antipsichiatrico della Val Camonica), al cui neonato blog siamo felici di rimandarvi. 
Tra i materiali presentati spicca un interessante video prodotto nel 2010 dal Collettivo antipsichiatrico Senza Ragione (e incluso nella serie Documenti di Follia), in cui, attraverso l'uso di un crudo ed efficace bianco e nero prende corpo un disvelamento complessivo della pericolosa mistificazione della psichiatria, assolvente un ruolo cardinale nell'ambito dello Stato Terapeutico. Tra le varie testimonianze proposte nel video spiccano quelle dell'operatore (anti)psichiatrico Giuseppe Bucalo e dello psicanalista Giorgio Antonucci, continuatore di Edelweiss Cotti, lo psichiatra promotore dell'esperienza di Cividale del Friuli e autore, con Roberto Vigevani, dello storico volume Contro la psichiatria (1970). E' Bucalo, con la consueta, spiazzante lucidità, a cogliere l'essenza della psichiatria nel sistematico e paradossale ribaltamento del diritto all'autodeterminazione, fondandosi essa sul mistificatorio riconoscimento di uno strutturale dislivello cognitivo tra il curante e il curato a favore del primo: per cui questi eserciterà la propria funzione contraddicendo sempre e in via di principio la volontà del secondo. 
Va rilevato come nell'alveo della nostra società ciascuno sia posto nella condizione di essere reputato affetto da un “disagio psichico”, che viene sancito pseudo-oggettivamente sulla base di scale valoriali arbitrariamente prodotte dalla psichiatria, laddove dovrebbero essere al contrario gli individui a valutare autonomamente sé stessi: è proprio al livello dell'invalidazione di questa seconda possibilità a favore della prima che si situa la più basilare infrazione al principio di autodeterminazione operata dalla psichiatria. La nozione di malattia mentale, la cui diffusione è stata messa in opera dalla psichiatria risulta leggibile in parallelo a quella di peccato diffusa dal cristianesimo, essendo riuscita infine a sostituirne la centralità nella coscienza dell'uomo contemporaneo. Così come la nozione di peccato mira ad impedire all'individuo l'accesso ad una comprensione reale della propria vita etica, quella di malattia mentale mira ad ostruire la possibilità di accesso alla propria vita psichica: in entrambi i casi risulta cruciale privare gli individui del possesso di altre ed ulteriori chiavi di autoesegesi, rendendo dunque effettuali quelle già date persino in assenza di una loro effettiva credibilità rispetto al soggetto che le utilizza. 


In questo drammatico quadro il blog del Camap, costituente l'ulteriore, naturale prolungamento della straordinaria attività culturale di quell'imprescindibile gruppo che sono gli Ebola, può essere un nuovo, radicale strumento di laicizzazione della società: onde separare completamente la psichiatria dallo Stato, riconoscendola finalmente come fede religiosa attualmente camuffantesi da scienza medica (fondata sulla mitologia alla Guerre Stellari della salvifica lotta tra le Forze del Bene, o della Salute Mentale e quelle del Male, o della Malattia Mentale): ma proprio per quest'ultima ragione capace di farsi promotrice di una visionaria e infinita crociata che viene combattuta a danno di tutti. 
Così scrive Thomas Szasz ne I manipolatori della pazzia: “Proprio come il potere e il prestigio dei trafficanti di streghe cresceva con l'aumentata diffusione della stregoneria, così è per il potere e la ricchezza degli psichiatri con la diffusione della malattia mentale... Come i procacciatori di streghe dei tempi andati, gli psichiatri odierni non si stancano mai di dare impulso alla diffusione della malattia mentale...Per lo psichiatra zelante tutti gli esseri umani sono pazzi, come per il teologo zelante tutti gli esseri umani sono peccatori”. 



A completamento di questa presentazione il Kalashnikov Collective Headquarter ha rivolto alcune domande all'amico Dani, che ringraziamo per la sua disponibilità...

"Buongiorno cari. Innanzitutto grazie per l'interessamento e lo spazio che ci date per questa realtà nata da pochissimo nella nostra zona dove la gente è poca, ma grintosa. Preferiamo rispondere a nome del Camap essendo un collettivo dove, tranne alcune naturali divergenze, la pensiamo allo stesso modo. 
Il Camap nasce dai deliri alcolici di un paio di amici, seduti al tavolo del bar. Può sembrare una battuta, ma in realtà è andata proprio così. Il desiderio era (ed è) quello di pubblicare e condividere informazioni riguardanti gli abusi di potere perpetrati dall'ordine degli psichiatri, in particolare la pratica del Trattamento Sanitario Obbligatorio. Sembra impossibile, eppure moltissime persone non hanno la minima idea di cosa sia e neppure immaginano che possa capitare anche a loro. Il blog, tramite contributi di qualsiasi tipo (pubblicazioni scientifiche, citazioni, video musicali, poesie e qualsiasi espressione della cultura umana richiamabile al nostro pensiero), vuole soprattutto essere uno spunto per aumentare la consapevolezza delle persone. Un'altra caratteristica importante è la libertà di partecipazione: l'idea nasce in Valcamonica, ma si estende a chiunque pensi che "sequestrare un individuo, considerarlo malato e curarlo contro la sua volontà è sbagliato". Da qui la voglia di fare controinformazione, sensibilizzare e sostenere (uno degli obiettivi del Camap è quello di poter fornire assistenza, informazioni e aiuto ai reclusi dal TSO prima e dopo il trattamento). 


Crediamo che il filone dell'antipsichiatria si sia arenato dopo la parziale chiusura dei manicomi: quando la polemica e il sensazionalismo di cui si nutre l'opinione pubblica si è naturalmente esaurito, l'attenzione è passata su altri argomenti e ancora una volta si è smesso di lottare. Trieste oggi è una realtà che può essere un esempio per la nostra società, una gestione di tutto rispetto che ha completamente abbandonato la pratica del TSO (che nella nostra zona viene praticato con una certa disinvoltura...). Allora perchè resta relegata in un angolo? L'ordine degli psichiatri è riuscito a mantenere il potere di cui è stato "divinamente" investito accettando a malincuore la chiusura dei manicomi. Non posso più rinchiudere gli indesiderati? Beh, qualcos'altro lo si trova sempre. Infatti ecco pronti gli psicofarmaci: i poco estetici e discutibili lacci esterni vengono sostituiti da dei più eleganti inibitori, depressori, eccitanti e via dicendo. L'esperienza di Trieste deve essere condivisa ed esportata per ciò che riguarda l'abolizione delle pratiche coercitive ovunque, ma questo passo deve essere compiuto da tutta la popolazione. 


"Crediamo che per affrontare la patologizzazione della nostra società sia necessario allargare la nostra visuale e uscire da un ragionamento limitato alle pratiche psichiatriche. Finchè le industrie farmaceutiche saranno in mano ai privati, è naturale che ci sarà sempre il desiderio di inventare una nuova pillola, ancora prima di avere la malattia. Con il Largactil è successa la stessa cosa: nei test hanno scoperto che questo farmaco, somministrato la sera prima di un operazione ad un qualsiasi paziente con una soglia di ansia oltre la norma, abbassava la sua tensione. Permetteva cioè di affrontare la notte con meno preocupazioni e dormire tranquillo. Naturalmente ci è voluto poco per farlo diventare un farmaco di elezione, utilizzato in moltissime patologie più o meno nuove. Il DSM, nato con l'intento di trovare un linguaggio comune tra i diversi esperti della patologia mentale, è diventato uno strumento di categorizzazione, con la finalità di trovare la giusta pastiglia per il giusto disturbo. E i disturbi aumentano sempre più, aggiungendo pagine e pagine al manuale e di conseguenza aumenta il consumo dei farmaci/profitto delle case farmaceutiche. Un cane che si morde la coda? Siamo più propensi all'idea del controllo del pensiero, ovvero il peggior incubo della fantascienza sarebbe già una realtà. Se non sei "normale", vuol dire che sei pericoloso. Se sei pericoloso, io ho il dovere di curarti/controllarti, anche se non hai mai fatto nulla di violento in vita tua, perchè un giorno potresti farlo se io non intervengo subito. La guerra preventiva non l'hanno inventata i militari: era già una realtà nella psichiatria". 



"Nessuno di noi operatore psichiatrico. Lavoriamo con persone con disabilità, oligofrenici, casi cavaliere ecc (forse il termine più corretto è 'emarginati) e in alcuni casi è necessario collaborare con gli psichiatri. Alcuni di loro hanno una mentalità più aperta, altri sono solo dispensatori di farmaci, ma tutti sono sempre convinti che il farmaco sia necessario come base di partenza. Attenzione però: il Camap in generale si propone di sensibilizzare le persone sulle pratiche coercitive di cui il nostro sistema medico abusa e non di annullare completamente la pratica psichiatrica. Quello può essere il pensiero di qualcuno di noi, ma non quello dell'intero collettivo. Siamo convinti che se una persona vuole abbandonarsi al giudizio psichiatrico e alle sue pratiche deve essere libera di poterlo fare, ma è lei a doverlo decidere. Un abbraccio a tutti e a presto! Ci si vede nella mischia...".
(Illustrazioni tratte da Ugo Guarino "Zitti e buoni!", Feltrinelli 1979)