30/04/13

[We talk about... us!]
From Serbia with love
[Puj] No, il nostro poster non è stato rapito! A Belgrado, Serbia, i ragazzi e le ragazze inquiete hanno occupato un nuovo spazio in uno dei tanti edifici rimasti abbandonati dai tempi della guerra nei balcani; una fabbrica dismessa, divenuta ora galleria d'arte, cinema alternativo, luogo per concerti e spazio sociale. L'amico Rasha ci ha chiesto qualcosa per rendere meno angoscianti i muri grigi di cemento armato dello squat: abbiamo deciso di donargli il nostro poster autoprodotto, che abbiamo utilizzato nell'ultimo anno di concerti per addobbare i palchi. Era un po' sgualgito, spiegazzato e sporco di merda, però funzionava ancora. 
Invece di affidarci alle poste, abbiamo deciso di incaricare della consegna il nostro fidato driver Claudio. La missione non era delle più semplici: oltre mille chilometri nella ex-yugoslavia fino alla capitale serba, con indicazioni abbastanza vaghe sulla consegna.
Tutto avrebbe fatto pensare che Claudio, appena entrato in territorio slavo, avrebbe barattato il poster per qualche bicchierino di rakjia fatta in casa, invece, grazie anche al nostro ex batterista Fabio, che ha fatto da prezioso supporto logistico all'impresa, ora il poster si trova a Belgrado (come testimonia la foto qui a fianco). 
Missione compiuta collettivo Kalashnikov!
L'Inex Film di Belgrado, Serbia.

28/04/13



[We talk abou... us!]
ROMANTIC PUNX tape anthology... (almost) out!
[Puj] Ritorno alle origini: la cassetta! Tredici anni fa, il nostro primo album usciva in quel formato tanto amato da tutti i punx. Le K7, che allora erano all'ordine del giorno, nel giro di un decennio si sono estinte per poi risorgere. Così oggi ricordiamo i bei tempi andati, quando eravamo bambini e avevamo tutti un walkman legato alla cintura: in quegli anni spensierati ci ammazzavamo di C90, logoravamo i mixtape finché i nastri non si aggrovigliavano e venivano tristemente ruminati dal registratore.
La fredda cronaca: "Romantic punx" dura sessanta minuti e raccoglie le nostre ultime uscite in vinile (i 7" Angoscia-rock e Vampirizzati oggi, il 12" La città dell'ultima paura), qualche pezzo dai vecchi Music is a gun loaded with future (La neve, Il cielo sopra Neo-Tokyo, Quale domani, quale futuro? dei Wretched) e Songs about amore and revolution (I vermi della terra), più un inedito strumentale, scritto a Berlino e registrato quattro anni fa (Il condominio sopra il bunker). La cassetta, una co-produzione Punx On Parole e Nuclear Chaos records, è stata stampata in 225 copie red-jelly, personalizzate a mano una ad una, confezionate con copertina a colori.
Al quartier generale del collettivo si lavora alacremente con forbici, tempera e pennello per assemblare le cassette, che saranno pronte il 18 maggio prossimo, in occasione del roboante concerto al Boccaccio di Monza; in quell'occasione i Kalashnikov incontreranno personalmente i propri numi tutelari: i Mob! La storica band dell'anarcopunk inglese degli anni ottanta, riformatasi qualche anno fa e di nuovo in pista con la line-up originale. La sera del 18 maggio sarà quindi l'occasione, per chi lo vorrà, di procurarsi una copia della cassetta. Cambiate le pile al ghettoblaster !



23/04/13

[We talk about...specism again!] 
Fabbriche di carne: un viaggio di Nemesi Animale all'interno degli allevamenti di maiali in Italia
[Sarta] Dopo il dossier sui laboratori di vivisezione, vi proponiamo un ulteriore lavoro delle ragazze e dei ragazzi di Nemesi Animale. "Fabbriche di carne" svela un altro volto osceno della nostra società specista, ovvero gli allevamenti di animali per la produzione di cibo. Ogni volta che viene a galla la cruda realtà di cosa succede all'interno di questi anonimi capannoni, ci viene in mente come la definizione "campo di concentramento" non sia affatto qualcosa che appartiere ad un tragico e circoscritto passato. Dato che le immagini parlano da sole, ci limitiamo a riportare l'introduzione scritta da Nemesi Animale per questo importante volumetto, che raccoglie documentazione fotografica di diversi allevamenti italiani. "Tra il 2011 e il 2012 siamo entrati in più di 50 allevamenti, di giorno e di notte. Lo abbiamo fatto senza aver avuto alcun invito o autorizzazione. Per testimoniare lo stato di cose quotidiano, non preparato ad arte per una qualche visita, e per mostrare che certe situazioni non sono eccezioni ma parte integrante di un sistema di produzione. Un viaggio in un inferno che ci ha portato a contatto diretto con le vittime di questo sistema di schiavitù e con i loro sguardi, che chiedono la libertà e si perdono nell’indifferenza". 


[We talk about...specism!] 
Vivisezione nei laboratori di Milano: un dossier di Nemesi Animale (primavera 2012)
[Pep] Nemesi Animale è un'associazione antispecista che si distingue per la ricchezza visiva e concettuale delle sue pubblicazioni, e per l'innegabile capacità di una presa diretta sulla problematica della distruzione del mondo animale. Il documento che il Kalashnikov Collective presenta ai propri lettori, muovendosi nel solco dell'impostazione complessiva dell'associazione (espressa in particolare dalla sua denominazione, tesa a produrre, sottolineandone la dimensione reattiva rispetto alle violazioni subite, una ri-soggetivazione dell'animale di contro alle letture reificanti di esso poste in essere dal pensiero specista, coniugandola con un impronosticato ribaltamento strategico del rapporto tra specie), fornisce per la prima volta una puntualissima ricostruzione dell'attività vivisettoria a Milano registrandone modalità, promotori, autori e istituzioni coinvolte. Il documento, nella sua rilevanza, ha suscitato la reazione dei soggetti interessati, con le conseguenti minacce di denuncia: nel quadro di un paradossale contesto sociale in cui la vivisezione è, similmente alla psichiatria, attività ordinariamente legittimata ma nel contempo ambiguamente oscurata nei suoi attori e nella sue modalità effettive. In tal senso è evidenziabile la specifica posizione, in seno alla società, dell'impostazione etica specista: quest'ultima fonda l'assetto identitario della società, nell'istituzione di un rapporto contrappositivo tra esseri umani ed animali, relegando questi ultimi ad oggetto di modalità etiche radicalmente altre rispetto alla specie straight. E' tuttavia evidente come nella pretesa di istituire un'etica specializzata riferibile al mondo animale, ed agita dagli specialisti dei rapporti con quest'ultimo (dai vivisezionisti agli allevatori), si celi il punto debole della mistificazione specista, necessitante l'oscuramento degli ambiti in cui gli animali sono coartati e fatti oggetto delle modalità relazionali dettate da quest'ultima: profilandosi il rischio dell'emergere dell'assurdità delle categorie di pensiero speciste a fronte dell'evidenziarsi puntuale delle loro drammatiche conseguenze etiche. 
In tal senso appare evidente la legittimità di un parallelismo con la problematica della psichiatria: nella pretesa di quest'ultima di istituire modalità etiche parallele per gli individui diagnosticati “malati mentali” (con eguale conseguenza dell'oscuramento all'opinione pubblica degli effettivi comportamenti agiti nei confronti di essi negli ambiti preposti alla loro terapia). L'azione di svelamento compiuta da Nemesi Animale trova dunque il suo precedente primario nel disoccultamento della brutale e abusatoria realtà manicomiale promosso negli anni Sessanta dai movimenti anti-istituzionali guidati da Franco Basaglia (e, che, nel suo impatto mediatico, implica una prima, irreversibile incrinatura della credibilità delle categorie di pensiero psichiatriche), costituendone un'oggettiva prosecuzione e radicalizzazione. Infatti, indipendente dal fatto che gli entusiasti della vivisezione si ispirino ad un fanatismo laico o siano gli adepti di quella imitatio christi propria della fede cristiana secondo cui i comportamenti dell'autoproclamato “salvatore dell'umanità”, tra cui la sua attestata inclinazione a divorare gli animali nelle occasioni conviviali, devono essere oggetto di puntuale replica da parte dei suoi seguaci, le argomentazioni usate per legittimare la loro condotta distruttiva nei confronti degli animali sono pienamente paragonabili a quelle usate dal regime nazista e dai suoi ispiratori psichiatrici ( primo fra tutti lo psichiatra Alfred Hoche, che nel 1920 pubblicò, assieme al giurista Karl Binding,il volume esaltante l'annientamento di massa dei pazienti psichiatrici Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens ) per legittimare agli occhi dell'opinione pubblica lo sterminio dei malati mentali e degli handicappati intellettivi: primariamente l'uso di un razzismo pragmatico, ben evidente nella cartellonistica nazionalsocialista dell'epoca, atta a porre a confronto il tedesco “sano” con il “malato mentale”, inducendo ad una scelta a favore del primo e del risparmio economico a lui devolubile in caso di eliminazione del secondo. A ciò viene correlata, sia nel caso dell'argomentazione nazista che di quella specista, la pretesa di tutelare con rigore da un lato il tedesco “normale” e dall'altro l'essere umano attraverso la negazione dei diritti rispettivamente del malato mentale e dell'animale. In realtà risulta vero, è facilmente comprensibile, esattamente il contrario, come la vivisezione dimostra, laddove , legittimando il concetto di cavia ne pone in realtà in essere l'inarginabilità sociale. Risulta infatti evidente come tale concetto possa comparire incontrollabilmente, secondo modalità appena camuffate, in ambito umano: laddove la sperimentazione farmacologica viene effettuata su pazienti compensati con denaro, e dunque posti nelle condizioni di un esercizio imperfetto o illusorio della loro facoltà di autodeterminazione, per non soffermarsi sul fatto che, come attesta l'epistemologo Furio Di Paola (se ne veda lo storico volume “L'istituzione del male mentale”, 2000), per la sperimentazione psichiatrica di terapie farmacologiche e biologiche fino agli anni Novanta, in ragione dell'asserita incapacità di intendere e volere del malato mentale (equivalente umano della pretesa “istintualità” animale), non esisteva alcun protocollo consensuale definito, ponendo in essere, in via di fatto e di principio a livello umano, la figura della cavia: al riguardo si pensi alla modalità con cui lo psichiatra italiano Ugo Cerletti, a tutt'oggi sovente celebrato quale storico ed esemplare maestro della propria disciplina, che ideò nel 1938 l'elettrochock ( ispirandosi, ammirato, ad una neo-tecnologia specista: il metodo elettrico per lo stordimento dei maiali utilizzato nei macelli di Roma), lo sperimentò su di un cittadino fatto internare allo scopo nella propria clinica psichiatrica ( si veda la puntuale ricostruzione della vicenda che dà Thomas Szasz nel suo testo “La psichiatria a chi giova?”, 1975).

Il documento di Nemesi Animale è corredato da una preziosa introduzione, in cui tra l'altro viene messo a fuoco l'assetto soggettivo che caratterizza gli autori e gli organizzatori della vivisezione, avente per baricentro i titoli e le funzioni accademiche, la cui valenza di impoverimento etico e di negazione della libertà e della responsabilità individuale viene messa a fuoco, quale tratto fondamentale dell'antropologia maschile e della civiltà patriarcale nel suo complesso, da Valerie Solanas, brillante teorica femminista e lucida profetessa di quella nemesi femminile che oggi sempre più travolge e ribalta l'assetto androcratico della nostra società, che così scrive: “Il maschio ha un'acuta consapevolezza dell'individualità femminile; ma è incapace di comprenderla, di comunicare con essa, di afferrarla emotivamente: lo sconvolge, ne ha paura ed invidia. Quindi la nega e passa a definire ognuno e ognuna in termini di funzioni e di uso, assegnando, com'è ovvio, a sé stesso, le funzioni più importanti: dottore, presidente, scienziato; in questo modo si procura un'identità, se non proprio un'individualità, e cerca di convincere sé stesso e le donne ( ma gli è riuscito meglio con le donne) che la funzione femminile è procreare ed allevare bambini, tranquillizzare e confortare l'ego maschile e che questa funzione è tale da renderla interscambiabile con qualsiasi altra femmina. In realtà la funzione della femmina è quella di stabilire rapporti, godere, amare ed essere sé stessa e questo la rende insostituibile. La funzione del maschio è produrre sperma , ed oggi abbiamo banche di sperma”. 


In conclusione ci piace citare il brano di Ronald Laing, il “marxista acido”che ha avuto un così rilevante ruolo nello sviluppo dell'area culturale del libertarismo “antipsichiatrico”, che, nel suo “La politica dell'esperienza” (1967) , rende, con straordinaria precisione, onde chiarificare attraverso di essa quella psichiatrica, la modalità etica specista, letta attraverso i biechi comportamenti di una rozza contadina nei confronti della propria oca: “Una donna ingozza di cibo tritato un'oca per mezzo di un imbuto: si tratta della descrizione di un atto di crudeltà contro un'animale? La donna nega ogni motivo o intenzione di crudeltà. Se ci mettessimo a descrivere questa scena “obiettivamente” non faremmo che privarla di ciò che “obiettivamente” o, meglio, ontologicamente, è presente nella situazione: ogni descrizione presuppone le nostre premesse ontologiche circa la natura (l'essere) dell'uomo, degli animali, del rapporto tra loro. Se una animale viene ridotto ad un oggetto di produzione e di profitto, a una specie di complesso biochimico, così che la sua carne e i suoi organi sono semplicemente del materiale che in bocca presenta una certa consistenza (morbida, tenera, dura), un sapore, forse un profumo, allora il descrivere positivamente un animale in questi termini significa degradare sé medesimi col degradare l'essere stesso. Una descrizione positiva non è “neutrale” né “obiettiva”.Nel caso delle oche -come- materiale-grezzo-per-paté la descrizione che se ne può dare, se dev'essere sostenuta da un'ontologia valida, non può che essere negativa. Ovvero una descrizione di questo genere è fatta alla luce di ciò di cui quest'atto costituisce una brutalizzazione, un degradamento, una dissacrazione : la vera natura degli esseri umani e degli animali.”

08/04/13

[Kalashnikov Collective live! @ Telos Occupato, Saronno, 6 aprile 2013: benefit per Cassa Anti-repressione Alpi Occidentali].

02/04/13

[Kalashnikov tour-report] 
KALASHNIKOV COLLECTIVE IN GREECE ...ONCE AGAIN! 15/3@Larissa - 16/3@Atene 
[Puj] Imboccando l’autostrada che dall’aereoporto Venizelos porta ad Atene, la prima cosa che si nota sono dei mastodontici cartelli pubblicitari posizionati su basamenti di cemento, del tutto spogli. Pubblicità della crisi e del vuoto di prospettive che vive in questi anni la Grecia, almeno stando a quello che raccontano i giornali? Arrivando ad Atene non sembra cambiato molto da cinque anni fa, dall’ultima volta che siamo stati qui a suonare: il solito traffico, la solita atmosfera di frontiera tra oriente ed occidente...
 
Poi si nota che la metà dei negozi è in stato di abbandono, i cartelli “affittasi” sono ovunque, e che le scritte sprayate sui muri sono decisamente aumentate, invadendo qualsiasi superficie disponibile. La rabbia la si percepisce soprattutto in quelle frasi che si dispiegano sui monumenti, sulle vetrine dei negozi, sulle porte delle case. Incontriamo Sapilla in piazza Sintagma, passata ai clamori della cronaca per le numerose manifestazioni di protesta che l'hanno avuta come scenario; anche al nostro arrivo è in corso un presidio, e non sarà il primo che incontreremo nelle varie piazze della città. Sapilla è il solito pazzo greco, però almeno si è comprato uno scooter così evitiamo di andare in dieci sul furgone come l'altra volta... 


Trascorriamo la serata poco distante, in un bar che il nostro vecchio amico definisce “collettivizzato”. Bar e caffè di questo tipo sono sempre più numerosi nelle città greche, si tratta di locali rilevati da un collettivo, solitamente di ragazzi e ragazze piuttosto giovani, che, grazie a sgravi fiscali e altre agevolazioni, riesce a portarne avanti l’attività, senza però scopo di lucro. Ma da lucrare c’è davvero poco perché i prezzi greci sono bassissimi, con meno di dieci euro mangiamo e beviamo alla grande, cibo fantastico, il tipico vino greco torbido e aspro, ottimi cibi crudi. Poi qualche giro di raki, la grappa balcanica, che qui in Grecia è particolarmente appetitosa; tanto che, a fine cena, fa un'improvvisa comparsata il Pupazzo Ripieno di Rakjia, che pensavamo essersi estinto. Quando notiamo Claudio sbucare da un cespuglio e arrampicarsi come un ragno sul cofano di una macchina, scopriamo che il pupazzo è vivo e lotta contro di noi. Cerchiamo di placarlo, finché non si annienta autonomamente in un lenzuolo sporco di vomito sul divano di Sapilla.
 
Il mattino dopo passeggiamo per il quartiere accompagnati da un fantasmino di pac-man: quel che resta del minaccioso pupazzo della sera prima. Entriamo in un bazar e ci dedichiamo ad acquisti importanti: uno smalto nero per unghie, un frullino da cucina, ago e filo per riparare i danni causati agli indumenti dalla furia del pupazzo di Rakja, un flauto dolce di quelli per l’educazione musicale delle medie e una maschera di plastica di Bin Laden da cinquanta centesimi. Loki si scopre pifferaio magico e ci conduce per le vie di Atene zufolando nel piffero un diabolico motivetto minimal-punk di due note. Dopo circa un‘ora d’insostenibile zufolare scopre che girare per le strade con indosso la maschera di Bin Laden fa molto più ridere. Nasce quindi un connubio che avrà molta fortuna nei giorni successivi: Loki e la maschera di Bin Laden. Il fortuito ritrovamento di una mitraglietta giocattolo a casa di Sapilla, avrà poi il sapore di una santa investitura, consegnando al nostro Mullah una missione: la guerra santa dal finestrino del furgone. Durante i viaggi, il Mullah farà strage dei conducenti delle macchine nelle corsie a fianco al grido di Allah akbar!, agitando spasmodicamente la mitraglietta. La cosa, nata per scherzo, si trasformerà subito in un lavoro meticoloso, portato avanti con dedizione: ogni camion, auto, moto che supereremo cadrà vittima delle pallottole del Mullah. Nemmeno la minaccia che l’elastico della maschera possa spezzarsi per il furioso utilizzo della stessa placherà il nostro jiahdista, che troverà la soluzione di reggere la maschera senza elastico infilandosi gli occhiali da sole...

In tarda mattinata partiamo per Larissa. Tra una sventagliata di mitra e l’altra, ci fermiamo a mangiare in riva al mare in una località desolatissima. E’ la trattoria più scassata che si possa immaginare: é un capanno di cellophane appoggiato ad un edificio abusivo, gestito da due signore dall’aspetto consunto. Gli unici avventori veri siamo noi, poi nel locale ci sono cinque ubriaconi abituali che probabilmente sono anni che non pagano. Detto questo, mangiamo alla grande: insalata greca a nastro, con ottimo vinello giovane. Peccato per i vasi di caffè ghiacciato con la cannuccia che ci portano quando alla fine chiediamo un espresso.

Ci areniamo nel centro di Larissa, nel mezzo di un traffico infernale, in attesa che Iannis, l'uomo dietro al concerto di stasera, ci venga a prendere per accompagnarci all'Università, dove suoneremo. "Ciao milanesi!": è il vecchio Vasko a sbeffeggiarci dal finestrino di un fuoristrada. Vasko è macedone, é a Larissa con i Bernays Propaganda, la sua funk-punk band con la quale gira l'europa da anni, instancabilmente. E' all'inizio di un tour di due mesi, una cinquantina di date dal Portogallo alla Russia, dalla Finlandia alla Puglia! Questa sera suoneremo insieme, e anche il giorno successivo ad Atene. I suoi racconti sugli hooligans, i ricordi della guerra nei balcani (quando sotto il letto la sua famiglia teneva un paio di Kalashnikov - quelli veri - sempre a portata di mano, per difendere la casa) e di Alan Ford (il vecchio fumetto italiano, con cui tutti i ragazzini della Yugoslavia comunista sono cresciuti), ormai sono un must!
Il palco è stato allestito all’ingresso dell’Università, uno stanzone grigio con i soffitti altissimi. L’atmosfera è davvero strana, perché arriviamo a lezioni ancora in corso. Di fianco c’è la mensa, con gli studenti che mangiano. Noi facciamo irruzione chiedendo se possiamo unirci a loro, ma alla domanda: siete studenti? non ce la sentiamo di mentire.  
I Bernays Propaganda sono uno dei gruppi che, tra quelli che abbiamo visto esibirsi nel nostro giro, si avvicina di più al concetto di perfezione: Vasko porta avanti la band con una serietà e un'abnegazione tale da farne una creatura quasi disumana, una macchina perfetta che dal vivo sprigiona tutta la sua inquietante infallibilità. Tina al microfono, malgrado il suo aspetto fragile e la faccia da gatto siberiano, divora il pubblico...



Trascorriamo l’alba in una vera casa punk: un (ex)appartamento di lusso (camino in marmo, finiture in legno, il pavimento in cotto...), ma del tutto devastato, come se ci fosse esplosa dentro una bomba atomica di fango e rifiuti. Le case punk sono una costante dei tour, vere e proprie incognite, luoghi magici, pieni di sorprese, come scarichi del cesso che non funzionano, buchi sui pavimenti nascosti da tappeti, resti di cibo in ogni anfratto, animali allo stato brado, sempre entusiasti di accogliere gli ospiti con ottime cagate di benvenuto.  
Dopo aver compiuto una strage di infedeli in autostrada, rientriamo ad Atene. La periferia della città sembra un territorio di guerra, tante case diroccate ed abbandonate. Sapilla ci spiega che sono moltissime le abitazioni che, con la crisi, sono state lasciate a loro stesse. Prima del crollo finanziario molti greci avevano investito i propri risparmi nel mattone, ma oggi con il ridimensionamento degli stipendi e la mancanza di lavoro, molti non riescono a mantenere le case né ad affittarle, e quindi rimangono vuote.

Il politecnico di Atene sorge al centro di Exarchia, noto come il quartiere anarchico della città, scenario, negli ultima anni, di cortei e violenti scontri tra i manifestanti e la polizia, che portarono anche a drammatici eventi come la morte del giovane Alexis nel 2008. Ad Exarchia non un centimetro quadrato di muro è sgombro da manifesti strappati e scritte sprayate, inneggianti tutte al crollo del capitalismo, o giù di lì. Solo un'ala del politecnico è occupata dagli studenti, ma l'intero campus universitario sembra squattato,  per quanto é colorato e invaso dai murales. Alcune parti poi sono state abbandonate a se stesse e inghiottite dalla vegetazione. L'intera università sembra una strana cittadella anarchica, dall'aspetto austero. Un po' surreale, come lo può essere un'università di notte, con le aule deserte e senza il via vai degli studenti. L'aula nella quale si terrà il concerto è enorme, ma ci garantiscono che non basterà a contenere tutte le persone che di lì a un paio d'ore confluiranno....

Prima che il concerto inizi, incontriamo alcune vecchie conoscenze come il cantante degli Straitjacket Fit, che Sarta saluta calorosamente, tanto calorosamente da sputargli addosso, per errore, una caramella alla menta che stava cucciando. La caramella si appiccicherà sulla spalla dell'interlocutore, del tutto ignaro dell'accaduto, e ci rimarrà incollata per tutta la sera. Sarta chiederà aiuto a tutti noi per trovare il modo di staccare la caramella dalla spalla dell'amico greco senza che lui se ne accorga, ma nessuno riuscirà a pianificare una strategia plausibile. Sarta sarà poi punito qualche minuto dopo, volando dalle scale di un bar.
E' mezzanotte, e i folgoranti Bernays Propaganda stanno chiudendo il loro set. La band di Skopje, come sempre, non lascia scampo. Tina guarda negli occhi uno per uno le centinaia di spettatori accalcate tra le pareti sudice, fendendo come una lama l'aria intrisa di fumo della sala... Salgono poi gli Straitjecket Fit di Atene: il loro è un ipnotico post-punk con improvvisi attacchi d'ira, virate death metal, da caramelle incollate sulle spalle. Come sapevamo, le band greche fanno un genere a sé stante, lontanissime dalle mode che dettano legge nel resto dell'impero.  
Infine tocca a noi. Quando saliamo sul palco, ci troviamo davanti una folla di cui non vediamo la fine...






Nel 2007, l'ultima volta che abbiamo suonato ad Atene, lo facemmo a Villa Amalias, storico spazio occupato dai punx anarchici della città, da poco sgomberato dalle autorità locali, sulla pressione operata dalle fazioni di estrema destra che hanno preso il potere in Grecia negli ultimi anni. Oggi i ragazzi e le ragazze di Atene stanno tentando di rioccupare lo spazio e, conoscendoli, ce la faranno abbastanza presto. Quella volta, sei anni fa, fu per noi sorprendente scoprire una scena DIY così vasta e combattiva in un paese così dislocato sulle mappe. Oggi, malgrado tante cose siano cambiate, malgrado la "crisi" e tutto quello che ne è conseguito, la situazione non è cambiata: anzi, la voglia di fare e di costruire dei giovani greci è, piuttosto, aumentata. Quella che tutti siamo abituati a chiamare "crisi" non ha un significato così ovvio e pacificato come i media vogliono farci credere: forse fra una ventinna d'anni si potrà fare un bilancio onesto ed oggettivo di ciò che sta accadendo in quest'epoca: e di sicuro se ne avrà un'immagine decisamente diversa da quella che i giornali occidentali stanno descrivendo oggi, nel bene e nel male. Per ora, quel che resta è la passione e la voglia di costruire dal basso, cosa che rappresenta, per noi, l'unico modo di vivere la vita e la musica.

Il nostro concerto di quest'anno è stato come al solito molto instenso e partecipato: non avendone però alcuna testimonianza filmata rispolveriamo un reperto audio-visivo rimasto inedito per tutti questi anni e risalente al pimo concerto ad Atene, che facemmo sei anni fa: quella volta il nonno, poiché era molto stanco, slavinò sulla batteria nel bel mezzo del concerto, radendola al suolo. Non abbiamo mai osato diffondere la testimonianza filmata dell'evento: oggi però i tempi sono maturi per sdoganare questi fotogrammi shockanti...