30/01/13

[Free music for punx]
FLOH DE COLOGNE (Polit-rock, Koln) - Mumien (Lp, West Germany 1974)
[Puj] 1973, Santiago del Cile: l'esercito locale, agli ordini del generale Augusto Pinochet, con il sostegno logistico della CIA e quello economico di una multinazionale americana (la ITT), rovescia il governo d'ispirazione marxista di Salvator Allende, tre anni prima regolarmente eletto Presidente sotto lo sguardo preoccupato dell'amministrazione statunitense. Il palazzo presidenziale di Santiago viene bombardato e assediato come in una guerra. Allende muore durante gli scontri, suicida secondo la versione ufficiale,  molto probabilmente assassinato nella realtà. Il Cile si trasforma così in una dittatura militare e fascista: i partiti di sinistra vengono dichiarati fuorilegge e gli oppositori politici fatti sparire sommariamente.
1974, Colonia, Germania: un gruppo di studenti dell'università locale, riuniti nel collettivo musical-teatrale dei Floh de Cologne (un gioco di parole tra "floh", pulce in tedesco, e "eau de cologne", acqua di colonia in francese; praticamente "la pulce di Colonia", città di provenienza della band), pubblica Mumien (Mummie), una "kantate fur rockband", instant-album di denuncia di quanto stava accadendo in Cile (un po' come faranno, nel 1983, i Crass con l'album Yes Sir, I will, contro l'intervento militare britannico nelle Falklands). 

I Floh de Cologne nascono alla fine degli anni '60 come gruppo di politikabarett per poi consolidarsi in una tosta rock-band teatrale e visionaria. Alcuni dei componenti dei Floh provenivano da esperienze politiche nell'Apo (Außerparlamentarische Opposition, l'opposizione extraparlamentare), un movimento di protesta di sinistra radicale con venature libertarie. Poi la band, all'inizio dei '70, si assesta su posizioni marxiste-leniniste piuttosto ortodosse, avvicinandosi al Partito Comunista Tedesco. Tanto che nel 1973 fa parte della delegazione di musicisti della Germania Ovest che prende parte al decimo Weltfestspiele der Jugend und Studenten, il "festival mondiale dei giovani e degli studenti", che quell'anno si tiene a Berlino Est. Il WJS era un mostruoso meeting internazionale a cadenza annuale al quale partecipavano decine di migliaia di giovani da tutti i paesi comunisti (malgrado ogni edizione venisse a costare cifre spropositate, il festival era considerato uno strategico strumento di propaganda politica tra i giovani). Il filosovietismo della band era sincero e totale: sul retro del loro primo album, intitolato Profitgeier (Sfruttatore), invitano i propri ascoltatori ad aderire ad organizzazioni marxiste allineate alla politica dell'URSS!


[1971: buffa apparizione dei Floh de Cologne negli studi della televisione pubblica tedesca. Eseguono un pezzo di classica ispirazione egalitaria: Die Luft Gehört Denen Die Sie Atmen (L'aria appartiene a coloro che la respirano)].

Aldilà di questi grigi apparentamenti istituzionali, i Floh de Cologne restarono per tutta la loro carriera un ganzo gruppo d'ispirazione situazionista, dall'attitudine anarcoide e dall'etica d.i.y. ante-litteram; rifiutarono sempre, anche nei periodi di maggior riscontro di pubblico, di affidarsi a manager, roadies e ad altre figure esterne alla band: si autogestirono al cento per cento per mantenere i prezzi dei propri spettacoli i più bassi possibile. Ad ogni loro esibizione era abbinato un manifesto che riportava per intero il testo dello spettacolo, con suggerimenti su interventi che potevano essere messi in atto dal pubblico durante il concerto ed altre azioni sovversive da svolgere privatamente. La band si scioglierà nel 1983, quando il suo pubblico preferirà di gran lunga la febbre del sabato sera al teatro politico.   
Mumien è nello stile tipico della band: cabaret e agit-prop, umorismo macabro e rock wagneriano; alterna fraseggi poderosi ed inquietanti ed altri simpaticamente hippie, marce funebri e bevute in birreria. La copertina (ad opera del celebre H.R. Giger) rappresenta la mummia Pinochet che stringe un mitra e un manganello sporco di sangue e capelli; sotto: una svastica (non doveva essere una scelta banale, per un tedesco, utilizzare quel simbolo così drammatico, legato alla recentissima storia della propria nazione). La mummia è a sua volta a capo di un esercito di mummie che vediamo sfilare facendo il passo dell'oca in Marsch der mumien (la marcia delle mummie). E a tirare i fili che muovono le mummie  sono le multinazionali americane (ITT etc) e i capitalisti cileni (Und die reichen), rei di aver messo il popolo cileno in manette (Des volkes fesseln).

L'esercito assedia il palazzo presidenziale di Santiago del Cile durante il golpe
I militari portano fuori dal palazzo presidenziale il corpo di Salvator Allende coperto da un poncho
Die Mumie
La polizia della Mummia in ronda per le strade di Santiago
Benché possa apparire limitante ascoltare il disco senza conoscere il tedesco, l'anti-musicalità e il tono marziale (nonché tristemente evocativo) di questa lingua contribuiscono a creare un clima cupo e militaresco, perfettamente in sintonia con il tema dell'album. L'effetto è quasi ambient: il dipanarsi ossessivo della narrazione in tedesco sfuma in una cantilena da tregenda, una catena di suoni spigolosi, fonemi aggressivi in grado di descrivere i fatti che vengono raccontati anche a chi poco o nulla comprende di quello che viene recitato. Mumien e i Floh de Cologne sono una testimonianza lontana (nel tempo e nella forma) di un modo di fare musica antagonista che, tuttavia, suona alle nostre orecchie odierne terribilmente affascinante!

29/01/13

[Free books for punx!]
Lorenzo Guadagnucci, "Restiamo Animali. Vivere Vegan è una questione di giustizia", Terre di mezzo, 2012
[Sarta] “Restiamo animali” è uno dei libri più interessanti che mi sia trovato in mano negli ultimi tempi. Affronta il tema dell'antispecismo oscillando con equilibrio tra aneddoti autobiografici, questioni sociali e filosofia, ripercorrendo le tappe attraverso le quali l'autore, il giornalista Lorenzo Guadagnucci, ha definitivamente deciso di abbracciare la scelta vegan e di dedicarsi all'attivismo in materia. Si tratta di un saggio che assomiglia molto ad un romanzo di formazione ed è utile anche a chi si avvicina per la prima volta all'argomento perché riassume molte delle questioni alla base della scelta di vita antispecista, passando in rassegna quasi tutti i libri fondamentali sull'argomento e offrendo una sintesi delle questioni più importanti.
Lorenzo sceglie di aprire il libro con la descrizione dell'esperienza, decisiva per il suo percorso autobiografico, del pestaggio, vissuto in prima persona, alla scuola Diaz da parte dei poliziotti durante il G8 di Genova nella notte del 21 luglio 2001. Quando dei suoi amici e colleghi gli chiedono di descrivere quella notte di violenza, le parole che gli escono spontaneamente sono: “Hai presente una tonnara?”. Sostituire gli esseri umani ai tonni significa, nella cultura della gente comune, sostituire degli “oggetti” (gli animali) con dei “soggetti” (gli uomini) e quindi far scattare il meccanismo dell'immedesimazione, dell'empatia, trasponendo la capacità che abbiamo di provare dolore anche sugli animani non umani. Quell'esperienza è stata la molla che, alla maniera dei damasceni di Tom Regan, ha fatto scattare l'impegno civile: in fondo, gli umani sono animali, come gli animali sono tutti “soggetti di una vita” e hanno la medesima capacità di soffrire, di reagire alla violenza e, quindi, il medesimo diritto alla vita.
Il libro, dopo un necessario riassunto iniziale dei punti cardine del pensiero antispecista, entra nel vivo riportando molte esperienze concrete sul territorio portate avanti da associazioni e attivisti. E' la parte più interessante, dove si racconta con uno stile partecipato e ricco di dettagli, la storia di diverse realtà che agiscono per cercare di aprire una breccia nel conformismo del pensiero unico, comeLiberazioni” (la più importante rivista antispecista italiana), l'Ippoasi (un rifugio per animali liberati presso Marina di Pisa), le battaglie di "Fermare Green Hill" contro la vivisezione (con tutto il contorno della complessa questione del rapporto con i media), il gruppo di acquisto solidale "Gasvegando" fondato da Lorenzo assieme alla sua compagna Camilla e altri esempi dalle prassi più o meno efficaci. 
Ci sono poi riferimenti a personaggi della società civile, della politica o della “comunità scientifica” che hanno abbracciato posizioni più o meno vicine all'antispecismo, come Aldo Capittini, Annamaria Rivera, Valerio Pocar, ai quali sono dedicati dei capitoli del libro. Non mancano poi alcuni divertenti racconti del rapporto di Lorenzo con alcuni ambienti della sinistra parlamentare, dalla ex-Rifondazione a Sel, protagonisti delle immancabili “Feste dell'Unità” alle quali Lorenzo è stato spesso invitato in qualità di giornalista ma la cui scelta vegan ha sempre imbarazzato i vari organizzatori al momento della cena (evidentemente è impossibile per costoro concepire una festa popolare senza le salsicce!).
Il capitolo conclusivo si intitola "Nuove persuasioni" e ne trovate qui sotto un estratto scaricabile: si tratta di un'accorata esortazione all'impegno e all'attivismo antispecista, perché - riprendendo le parole di Leonardo Da Vinci, non esattamente un anarchico insurrezionalista! - “verrà un tempo in cui l'uomo non dovrà più uccidere per mangiare, e anche l'uccisione di un solo animale sarà considerata un grave delitto”. "Restiamo animali" è una lettura positiva che, nonostante la crudezza dell'argomento, lascia addosso un piacevole senso di ottimismo: buona lettura!
 

24/01/13

[Free books for punx]
Nicola Valentino “Istituzioni post-manicomiali. Dispositivi totalizzanti e risorse di sopravvivenza nelle strutture intermedie residenziali” (2005)
[Pep] Nicola Valentino è tra i maggiori pensatori anti istituzionali contemporanei: di lui va senz'altro citato “Nel bosco di Bistorco”(1990), storico capolavoro afferente all'ambito della critica alle istituzioni segreganti, scritto in collaborazione con Renato Curcio e Stefano Petrelli. Militante nella lotta armata, poi transitato nei meccanismi carcerizzanti e quindi interprete critico dell'istituzione carceraria, Valentino si configura infine come pensatore basilarmente anti-psichiatrico, giocante su di una contro-lettura della soggettività individuale che la inquadra quale attraversata e plurimamente sdoppiata da linee di frattura molteplici: pervenendo ad un modello di soggettività multipla, che, contraddicente le fatali semplificazioni psichiatriche, si rivela cruciale nella lettura disvelatrice di qualsiasi assetto istituzionale del vivere associato e del relazionarsi. 
Il libro che il Kalashnikov Collective Headquarter presenta ai propri lettori evidenzia le dinamiche di trasmigrazione dell'istituzione manicomiale nell'ambito della nuove modalità organizzative della psichiatria e nel complessivo corpo sociale, nel quale l'istituzione psichiatrica si ri-presenta secondo modalità metastatiche. L'effettuazione di un ribaltamento dell'impropria ancillarità che, nell'alveo mistificatorio della psichiatria, le neuroscienze intrattengono verso di essa, pone Valentino in grado di servirsi anche dei loro risultati (avendo per riferimento gli scritti neuropsicologici di Giuseppe Miti sul carattere apparente dell'io individuale, oggettivamente celante il moltiplicarsi, aggregativo e disaggregante, delle configurazioni identitarie). La finalità di Valentino è quella della liquidazione concettuale del più radicale meccanismo difensivo che le istituzioni, in particolare nella loro modalità psichiatrica, dispiegano nei confronti dei soggetti di loro pertinenza: il silenziamento patologizzante (o comunque rispondente agli specifici assetti concettuali dell'istituzione stessa) delle reazioni soggettive dissocianti di questi ultimi nei confronti delle dinamiche oppressive di cui sono fatti oggetto. Muovendosi attraverso una molteplicità di riferimenti militanti (da Jasna Russo ed Erwin Redig, della Rete europea dei colpiti dalla psichiatria, alle significative strategie di azione antipsichiatrica del gruppo tedesco “L'offensiva dei pazzi”, dal sopravvissuto alla psichiatria Karl Bach Jensen, fino al teorico della Filofollesofia Giovanni Gramaglia), Valentino rivolge le sue attenzioni analitiche all'ambito delle Sir (Strutture Intermedie Residenziali, luoghi di residenza a vocazione dichiaratamente temporanea dei soggetti psichiatrizzati) aventi per formale caratteristica l'attraversabilità sociale, e l'assenza di atti burocratici legali per l'immissione nella propria sfera residenziale e terapeutica: le Sir, in realtà, oltre a traghettare frequentemente in sé la vocazione a porsi come residenze permanenti per i pazienti ospitati (prima della conclusiva movenza transistituzionale del trasferimento di essi negli ospizi per anziani), ereditano dal manicomio anche un plesso di modalità relazionali il cui ripresentarsi evidenzia la scarsa e non lineare elaborazione di alternative nell'ambito della prassi psichiatrica. La disamina di Valentino passa in rassegna vari campi tematici, usandoli come analizzatori delle Sir: oltre alla sessualità ( che l'istituzione affronta spesso attraverso la sua eterogestione da parte dei propri operatori), alla modalità istituzionale della terapia farmacopsichiatrica e ai dispositivi trattamentali è l'analizzatore del denaro ad essere valutato come particolarmente pregnante dal punto di vista di un'intelligenza critica della psichiatria. La mancata gestibilità del proprio denaro da parte del residente nelle Sir, spesso coniugata con il ritiro da parte dell'istituzione dei documenti d'identità di quest'ultimo (a sancire simbolicamente e fattualmente l'eliminazione di una cittadinanza effettuale del soggetto psichiatrizzato), offre spunto a Valentino per portare fra l'altro un attacco abolizionista ad una delle figure giuridiche connesse alle procedure psichiatrizzanti: l'interdizione per assente capacità di intendere e volere. 

Manicomio di Rovigo (1979)
La prassi interdittiva (che, come noto, rende il denaro del paziente fruibile da quest'ultimo esclusivamente attraverso l'espropriante mediazione di un tutore) evidenzia il paradossale e implausibile meccanismo discriminante della psichiatria, atto a leggere come specifico del “malato psichico” ciò che, non tollerato, è aspecificamente diffuso nell'intero corpo sociale: laddove, infatti, l'inettitudine, anche fatalmente dannosa, nell'amministrazione del proprio patrimonio non si coniughi con una diagnosi psichiatrica, non si ha risposta interdittiva alla situazione, mentre, paradossalmente, laddove invece intervenga la psicodiagnosi di malattia mentale, l'interdizione avviene con un'amplificata ed ambigua casistica di applicazione (in luogo di un ben più plausibile, informale accompagnamento del soggetto nella progressivamente valida gestione del proprio denaro, così come nel compimento dei propri atti legali). Tra le risorse di sopravvivenza messe in atto dai residenti delle Sir è individuato in particolare un meccanismo fondamentale, la dissociazione, consistente nella moltiplicazione dei propri livelli soggettivi e  identitari e, in genere, silenziabile dall' istituzione quale preteso sintomo di psicosi schizofrenica: in realtà esso è spia ed indice altamente significativo delle dinamiche reali del contesto istituzionale. E' Giovanni Gramaglia, utente psichiatrico e teorico della filofollesofia (al riguardo si veda il suo volume del 2003 “Filofollesofia. Tra scienza e delirio. Processo alle opinioni.”) ad evidenziare, al di là delle semplificatorie pretese psichiatriche, alimentate dalle logiche istituzionali, il riconoscimento della strutturale molteplicità cognitiva e soggettiva dell'individuo (per la quale è, secondo Gramaglia, pienamente possibile credere in un sistema di opinioni definito “delirante” dal sapere psichiatrico e contestualmente, ad un altro specifico livello, non credervi: laddove invece la psichiatria prevederebbe, infine, solo la bidimensionale alternativa tra il non credervi, attestando la guarigione e il credervi, confermandosi psicotici). In tal senso i movimenti antipsichiatrici sono in grado di minare radicalmente e definitivamente la dimensione identitaria, insediando la propria critica al livello più strutturale e apparentemente inespugnabile di essa, quello cognitivo: evidenziandone le sottese discrepanze e le potenziali, trasgressive molteplicità. 

Oltre ad occuparsi delle modalità soggettive degli operatori psichiatrici (e della lesiva, destabilizzante influenza su di esse del contesto dell'istituzione, secondo dinamiche comparabili a quelle di molti altri ambienti lavorativi contemporanei, contaminati dalla metastasi istituzionale che, dopo la crisi delle istituzioni totali negli anni Settanta, ha investito la società), Valentino espone il metodo usato nel suo lavoro, la socioanalisi narrativa, consistente nel sollecitare la testimonianza diretta e gruppale da parte dei soggetti implicati, attualmente o pregressamente, a qualsiasi titolo negli ambiti istituzionali (dalle carceri agli ospizi, dai manicomi alle scuole fino agli odierni contesti produttivi), sviluppando un'intelligenza integrata e multi-sfaccettata di questi ultimi. Completano il testo uno scritto di Luigi Marinelli, testimonianza delle difficoltà e dei rischi di un'azione di contestazione delle dinamiche istituzionali da parte degli operatori psichiatrici, e un saggio dello psichiatra Gennaro Perrino, facente emergere in modo significativo gli strutturali incongruenze e limiti della contemporanea nozione psichiatrica di “guarigione”, oggi prevalente rispetto all'altrettanto infondato, arcaico mito dell'“inguaribilità della malattia mentale”.

14/01/13

[Free music for punx]
AA.VV. - Strassenmusik (LP - West Germany 1981) 
[Puj] Il musicista di strada (busker) è una figura sempre molto suggestiva, ma anche un po' bistrattata, spesso assimilata dalla gente comune al mendicante o al ciarlatano. Per questi motivi, e per altri, ogni punk che si rispetti dovrebbe dedicare un po' di attenzione a quest'esponente della musica sbrindellata e perdente. Suonare senza elettricità, senza un palco e senza certezze - vi assicuriamo - è una liberazione!
Girando per le città europee ci è capitato di incontrare busker di ogni genere e fattezza; soprattutto le città tedesche, durante l'estate, pullulano di anti-musicisti da marciapiede. Proprio in una recente gitarella a Monaco di Baviera abbiamo trovato, in un negozio di dischi usati, questo vinile ("Strassenmusik", musica da strada), stampato nel 1981 da una minuscola etichetta locale: raccoglie registrazioni ambientali di alcuni artisti girovaghi effettuate in varie città tedesche tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Siccome di questo disco non c'è traccia su internet abbiamo deciso di ripparlo e renderlo disponibile a tutti.
Certo il genere non vi piacerà granché (a meno che non amiate le atmosfere hippie-freak fuori tempo massimo): noi, di questo tipo di musica, troviamo entusiasmante l'approccio giocoso al fatto musicale, quello spirito un po' gonzo che ha qualcosa d'infantile e selvatico, che sarebbe bello riscoprire e fare proprio; un modo di vivere la musica che ci scaraventa in un mondo senza clamori e senza ovvietà, dove sono assenti le sovrastutture tipiche della musica rock e pop, con i suoi codici, le sue pose, il suo carattere un po' snob, i suoi copioni già scritti; una musica che si prende i suoi spazi come, dove e quando le pare, senza chiedere "é permesso?" a nessuno. 
Che il punk sia diventato, oggi, innocuo e tragicamente ovvio, è un fatto sotto gli occhi di tutti: non avete l'impressione che le idee siano sempre meno, che i concerti siano spesso noiosi rituali, che i dischi suonino tutti uguali, che le serate siano stanche ripetizioni di copioni usurati? Giocare con le modalità, come, ad esempio, suonare per strada, nudi e crudi, senza corrente, davanti ad un pubblico di passaggio, tornare insomma a questo punto zero del fare musica, forse ci permetterebbe di soffermarci tutti/e sul senso di quello che noi, musicisti sbrindellati e perdenti, facciamo. Oltre che, nel frattempo, di far su un po' di moneta...

>>> Download AA.VV. "Strassenmusik" LP (RFT 1981) in .mp3 (.rar - 64 mb.)

12/01/13

[Riproponiamo in un unico post, e con alcuni aggiornamenti, materiali riguardanti critica/rifiuto del lavoro, che da tempo non erano più disponibili sul nostro blog. Buona lettura!...]

[Free books for punx]
RE-POST: AA.VV. - Processed World: conflitto e rifiuto del lavoro nel post-fordismo (U.s.a. 1990/Ed.It. 1998)
[Puj] "Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!"... e andate a farvi un birra al bar giù all’angolo: é così una bella giornata! Ma non solo: fermatevi a riflettere sul senso di quello che fate dalla mattina alla sera, della vostra esistenza quotidiana sacrificata tra viaggi in treno, discussioni con i colleghi, code in mensa, attività insensate e… - un’altra birra, grazie!... Strumento terapeutico, valvola di sfogo e spazio di condivisione per tutto questo, Processed World, fanzine uscita per la prima volta nel 1981 nell’area di San Francisco, è stata lo specchio di una generazione di lavoratori frustrati, sottopagati, disillusi ed annoiati che attraverso le sue pagine raccontavano di quanto grottesco, precario ed umiliante fosse (e tutt’ora sia) il mondo del lavoro, con i suoi rapporti gerarchici, la sua ripetitività demente, le sue regole senza senso, i suoi ritmi inumani. Racconti, saggi, riflessioni, collage situazionisti, stralci autobiografici… Processed World, utilizza un linguaggio confidenziale e un’iconografia dada, e ancora oggi rappresenta un punto da cui partire per sviluppare un percorso di dialogo e condivisione trai gruppi di affinità.  Anche dal punto di vista delle pratiche PW rappresentava un esempio di alto profilo: la rivista veniva prodotta con materiali e attrezzature rubate negli uffici dagli stessi autori! Il protagonista assoluto della rivista è il cognitariato urbano, il mondo dei colletti bianchi e delle segretarie, un tempo accomunato al padronato, oggi sempre più vicino a quello degli schiavi dell'antico Egitto; ma anche commessi, fattorini e tutte quelle figure di lavoratori sfruttati e malopagati che popolano i centri direzionali delle grandi città. 

Quindici anni fa, la Shake pubblicò il volume Processed World: ribellione nella Silicon Valley – Conflitto e rifiuto del lavoro nel post-fordismo traduzione dell’antologia di P.W. uscita negli U.s.a. nel 1990 e contenente una scelta delle più interessanti testimonianze pubblicate sulla rivista nel corso degli anni ’80. 
Nella prima pagina una dedica: “Questo libro è dedicato a tutti gli spiriti sovversivi che languono in impieghi solitari ed inutili. Tenete duro!”. 
Abbiamo preparato un estratto in .pdf che si può scaricare da qua sotto. Dentro ci si trova la prefazione all’edizione italiana, l’introduzione a quella americana e tre testi tra i nostri preferiti, esempio della diversità di registri utilizzati dagli autori della rivista. I documenti testimoniano poi come dal lavoro scaturiscano riflessioni ben più generali sulla nostra fottuta esistenza quotidiana nel Sistema, che vanno a toccare aspetti spesso non-pensati: il rapporto con il cibo, ad esempio, o quello con il tempo. Inquietante: “Vendi il tuo tempo per comprare il tempo che altra gente ha venduto”. Aaaarghhh!
.
>>> Download Estratto di “Processed World” [ITA] (.pdf – 16,5 mb.)



[Da "Processed World" n. 2 - 1981] "Le olimpiadi degli impiegati! - Il Pentathlon. 1) Il lancio del telefono. Stando in piedi sulla scrivania, ciascun atleta scaraventa tre telefoni - uno alla volta - dall'altra parte dell'ufficio. I punti vengono assegnati per stile e gettata media. 2) Gara a "eliminazione": ciascun atleta ha trenta minuti per eliminare il maggior numero di file dalla banca dati. I punti verranno assegnati sulla base dell'originalità della postura e, naturalmente, sulla base della quantità delle informazioni distrutte (in megabytes). 3) Picchia l'orologio: ci sono 45 orologi sparsi per l'ufficio da picchiare e distruggere. I punti vengono assegnati per zelo, minor numero di colpi e velocità di distruzione. 4) Piegare, perforare & strappare. A ciascun atleta viene data la chiave dell'archivio. I punti vengono attribuiti per origami, tagli creativi e quantità di distruzione. 5) Corsa ad ostacoli su Market Street: partendo da Embarcadero Plaza, gli atleti gareggiano lungo Market street scavalcando barricate ad ogni incrocio, schivando le nuvole di gas lacrimogeno e i proiettili di gomma della Guardia Nazionale, fino alla Banca Nazionale tra Market street e VanNess; i punti vengono attribuiti per velocità, equilibrio e per essere arrivati vivi alla fine. Dove si terranno: negli uffici di San Francisco . Quando: il più presto possibile. Aperte a tutti. Spettatori strettamente vietati". 

Da "Processed World" n. 2 - 1981
 
[Free books for punx]
RE-POST: Alfredo M. Bonanno - Distruggiamo il lavoro (Salamandrina Ed. Libertarie 2005)
[Puj] Osteggiare la forza disgregante ed alienante del lavoro salariato è un impegno quotidiano a cui tutti siamo chiamati. Succede però che il lavoro sia per la gente, oltre che una condanna e una fonte di preoccupazioni, stress e alienazione, anche l'unico modo per conferire un senso all'esistenza. Il lavoro infatti confeziona un'identità ed una progettualità (seppur di seconda mano) che riempiono di significato le vite grigie di coloro che, privi di fantasia e di iniziativa, non saprebbero come altro impiegare il proprio tempo. Il lavoro salva le masse dal nulla nel quale esse sono gettate, ricoprendo una fondamentale funzione sociale di contenimento e controllo: infatti, liberate dall'occupazione coatta del tempo, le masse potrebbero farsi "instabili", "pericolose", e forse "un po' troppo creative".
Un tempo il mercato del lavoro rispettava in pieno questa funzione sociale, proponendo al lavoratore pacchetti a copertura totale: posti sicuri in aziende-caserme che si prodigavano non solo di impegnare le otto ore di lavoro quotidiano, ma anche di offrire opportunità precotte per impiegare il restante tempo della vita (pensiamo ai dopo-lavoro, alle gite aziendali, alle feste con i colleghi...). Oggi il mercato del lavoro è in crisi su tutti i fronti e non può più prendersi cura dell'intera esistenza delle persone; anzi, per tutelarsi e sopravvivere, cerca di scrollarsi di dosso il maggior numero di responsabilità nei confronti del lavoratore: flessibilità, riduzione dell'orario di lavoro, contratti sempre più blandi, assenza di garanzie, impossibilità di offrire al lavoratore un futuro sicuro e quindi progetti di vita... Il mercato oggi non chiede altro che licenziamenti, scarsa specializzazione, flessibilità degli orari e ricambio umano. Se il sistema è cambiato, se il nemico da combattere oggi si tutela “sabotando” i progetti di vita delle persone come un tempo gli anarco-sindacalisti sabotavano le macchine della fabbrica, le vecchie strategie di lotta sul lavoro rischiano di essere inefficaci e, in molti casi, di fare il gioco del mercato.

"Siamo in sciopero!" "Per sempre!" (da Processed World 2/981)
Al vuoto di senso che il lavoro fatica oggigiorno a colmare (e che potrebbe avere risultanze destabilizzanti), il sistema sopperisce con il benessere materiale dei consumi e con l'industria dell'intrattenimento, che offrono strumenti identitari, immaginari preconfezionati, sogni futili, passatempi vuoti in grado, malgrado tutto, di distrarre le persone dall'insensatezza che avvolge le loro esistenze, replicando, tra l'atro, meccanismi di passività ed assoggettamento tipici del mondo lavorativo. 
Il breve saggio di Alfredo Bonanno parte da queste riflessioni con l'intento di aggiornare la critica del lavoro di matrice anarchica, per far sì che essa si mantenga autenticamente radicale, rivoluzionaria e, allo stesso tempo, ben allineata nei binari del presente. E se il problema, alla radice, è quello della ricerca di significato da attribuire alle proprie giornate, alla propria vita, "distruggere il lavoro" non significa "non lavorare". Il problema va piuttosto affrontato "approfondendo i propri progetti creativi, riflettendo su quello che si vuole fare della propria vita e dei mezzi di cui si viene in possesso non lavorando. Se si vuole distruggere il lavoro occorre che si costruiscano percorsi di sperimentazione individuale e collettiva che non tengano conto del lavoro se non per cancellarlo dalla realtà delle cose possibili".

>>> Download Alfredo Bonanno "Distruggiamo il lavoro" [ITA] in .pdf (3 mb.)

[Free music for punx] 
DDI (Punk/h.c. Pavia, Italy) - Chitarrista dilettante
"Non ho voglia di lavorare, soprattutto se un padrone mi dice quello che devo fare, preferisco suonare su un palco di assi, anche se non son capace. E non ho voglia di lavorare, mi piacerebbe vivere senza faticare. 
Voglio un amplificatore con un cono sfondato per suonare con un basso scordato. Proprio non voglio lavorare, però sono costretto altrimenti sono senza un tetto. E quando vado in fabbrica e vedo una pressa m'ispira una canzone proprio come questa! 
Mi piace suonare davanti alla gente, faccio casino, rumore, bordello, ma, credimi, al mondo non c'è niente di più bello. Però sono un dilettante, per me il pentagramma è un disegno stravagante. Forse hai ragione, faccio del rumore, ma ci metto tutto il mio cuore!". 
[Tratta dall'album "Pazzi da asporto" (D.I.Y. album - Italy 1996)].







Hugh Morren - Tommy Wack (strips U.K. 1970 c.a.)
 .
[Free books for punx]
RE-POST: Bob Black - L'abolizione del lavoro (U.s.a. 1985)
[Puj] Abolition of work è un classico della letteratura anarchica sul lavoro. L'opuscolo è stato pubblicato nel 1985 negli Stati Uniti e tradotto in Italiano nel 1992 dalla Nautilus di Torino. 
"Nessuno dovrebbe mai lavorare. Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo. 
Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro. Per eliminare questa tortura, dobbiamo abolire il lavoro.
Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività produttiva.
Ciò vuol dire invece creare un nuovo stile di vita fondato sul gioco; in altre parole, compiere una rivoluzione ludica. Nel termine "gioco" includo anche i concetti di festa, creatività, socialità, convivialità, e forse anche arte.
Per quanto i giochi a carattere infantile siano già di per sé apprezzabili, i giochi possibili sono molti di più. Propongo un'avventura collettiva nella felicità generalizzata, in un'esuberanza libera ed interdipendente. Il gioco non è un'attività passiva. Indubbiamente noi tutti necessitiamo di dedicare tempo alla pigrizia e all'inattività assolute molto più di quanto facciamo ora, e ciò senza doversi preoccupare del reddito e dell'occupazione; ma è anche vero che, una volta superato lo stato di prostrazione determinato dal lavoro, pressoché ognuno desidererebbe svolgere una vita attiva. L'oblomovismo e lo stakanovismo sono due facce di una stessa moneta falsa. La vita ludica è totalmente incompatibile con la realtà attuale. E allora tanto peggio per la "realtà", questo buco nero che succhia la residua vitalità da quel poco che ancora distingue la nostra vita nella semplice sopravvivenza. E strano — o forse non tanto — che tutte le vecchie ideologie appaiano conservatrici, e ciò proprio in quanto tutte danno credito al lavoro. Per alcune di esse, come il marxismo, e la maggior parte delle varianti dell'anarchismo, la loro fede nel lavoro appare tanto più salda in quanto non vi è molto d'altro cui esse prestino fede.
I progressisti dicono che dovremmo abolire le discriminazioni sul lavoro. Io dico che dovremmo abolire il lavoro. I conservatori appoggiano le leggi sul diritto al lavoro. Allo stesso modo dell'ostinato genero di Karl Marx, Paul Lafargue, io sostengo il diritto alla pigrizia. La sinistra è a favore della piena occupazione. Come i surrealisti — a parte il fatto che sto parlando seriamente - io sono a favore della piena disoccupazione. I trotskisti diffondono l'idea di una rivoluzione permanente. Io quella di una baldoria permanente...".


>>> Download Bob Black "L'abolizione del lavoro" [ITA] in .pdf (2 mb.)


Ramones "It's not my place (in the 9 to 5 world)" (U.s.a. 1981) 
"Mio padre e mia madre non mollano il colpo, e la cosa sta diventando davvero deprimente - Per trovare un lavoro hai bisogno di un pezzo di carta! Oh, diavolo, chi pensi di prendere in giro? - Ma quello non è il mio posto, oh, no! Il mondo "dalle nove alle cinque" non è il mio posto! Non voglio spaccarmi la schiena e perdere la mia identità, perché, quando si parla di lavorare dalle 9 alle 5, no, non è roba per me. Non è la mia realtà!"

08/01/13

[We talk about... us!]
Il Collettivo Kalashnikov e la stampa nazionale: un rapporto difficile.
[Puj] Le apparizioni del collettivo Kalashnikov sui quotidiani nazionali ormai non si contano più. Quella a cui siamo più affezionati - e di cui, senza falsa modestia, andiamo più fieri - è quella ormai risalente a più di quattro anni fa, su Il Giornale del 22 ottobre 2008. Il titolo: "La palazzina di tre piani ad Affori è di proprietà del Comune, ma da dieci anni gli anarchici se la sono presa abusivamente. Ora una mozione chiede che sia restituita alla città: il vicesindaco è d’accordo". Si parlava della Villa Occupata a Milano, che, all'epoca, aveva appena festeggiato i dieci anni di occupazione.
Scrive il giornalista dell'illustre testata: "La villa ha tre piani. E’ immersa nel verde del quartiere Comasina Affori, al civico 66 di via Litta Modignani. Chiusa con lucchetti e catene, sorvegliata dai cani. Perché da dieci anni è occupata da un gruppetto di anarchici e punkabbestia. Se la sono presa nel ’98, quando era chiusa per lavori. Prima c’era un centro civico, che peraltro funzionava benissimo. Nel quartiere i “ragazzi di qualche anno fa” lo ricordano bene: i giochi, la musica, il ping pong. Anche adesso servirebbe uno spazio sociale, nel quartiere. Una sede per le associazioni. Invece la “villa okkupata” se la godono gli “anarchici”. Il decennale dell’occupazione lo hanno celebrato a luglio, con festini allietati da gruppi musicali come “Logica di morte” o “Kalashnikov”: rumore infernale fino all’alba...". Contrariamente a quanto si pensa della stampa, confermiamo che quello che si dice nell'articolo é vero: in Villa non c'é il ping-pong.  
Allo stesso periodo (ottobre 2008), risale l'articolo che uscì sull'inserto culturale del Sole 24 Ore; un breve reportage sui Kalashnikov: "L'abolizione del palco. Nessun barriera per i Kalashnikov. E poi si compra il cd scegliendo il prezzo". Il trafiletto ci costò accuse di ambiguità ideologica, di collaborazionismo o, semplicemente, di esserci bevuti il cervello con la cannuccia. In effetti, quella volta ci asservimmo all'organo di Confindustria, rinnegando anni di autogestione e militanza. Alle reazioni dei compagni e delle compagne, fece eco quella dei mercati: dopo la nostra intervista, in cui parlavamo del rifiuto del prezzo imposto e del ritorno alla pratica del baratto, il mondo della finanza andò in crisi planetaria. 
Per fortuna a riportare le cose in equilibrio ci pensa finalmente questo articolo pubblicato il 7 gennaio scorso sull'Unità, che ci restituisce alle nostre origini di anti-musicisti autogestiti, accostandoci ai Crass e alla vecchia scena punk/h.c. italiana. Non più teppisti anarchici, non più servi del capitale. Tuttavia, anche questa volta, non tarderanno a piovere le accuse: quelle di aver votato Renzi alle primarie, di suonare per soldi alle feste dell'Unità e di essere loffi riformisti. 


06/01/13

[Free music for punx]
KLAUS SCHULZE (synth-poet, West Berlin) - Mirage (1977)
[Puj] Alla fine degli anni '60 Berlino Ovest é un'enclave occidentale nello stato più paranoico di tutta la Cortina di Ferro, la Repubblica Democratica Tedesca, ed è collegata al resto dell'Europa capitalista da un'autostrada di filo spinato. I posti di blocco, i muri di cemento e le guardie armate ai bordi delle strade apprtengono alla quotidianità di tutti i berlinesi, dando loro la sensazione di vivere come rinchiusi in un ghetto. Ma un altro tipo di oppressione pesa sulle coscienze tedesche, uno spettro minaccioso che aleggia sui bunker e sulle macerie che ancora ingombrano le città della Germania: il recente passato. All'ovest come all'est, cresce una generazione figlia del nazismo, ma che con esso non vuole avere a che fare, che dal ricordo di esso vuole ad ogni costo fuggire. 
E' forse a causa di questo clima claustrofobico e del desiderio di gurdare soltanto in avanti che in Germania Ovest si sviluppa, tra gli anni '60 e '70 la musica più libera, audace e immaginifca di tutto l'occidente. Una musica che riesce ad unire, in un miracoloso equilibrismo, la ricerca della musica d'avanguardia e lo spirito (pre)punk autarchico del "tutti possono farlo"; una musica capace di tenere insieme con lo scotch Wagner, Stockausen e gli MC5. La sete di libertà, materiale e spirituale, dà ai proto-musicisti berlinesi uno slancio iperbolico e visionario che li catapulta in un universo sfolgorante. Quella della fuga, per loro, non é una scelta, ma una necessità: tanto che i Tangerine Dream, tra i principali esponenti della musica liberata berlinese, la più radicalmente nuova del panorama musicale tedesco, dedicano il loro disco Alpha Centauri (1971) "a tutti quelli che si sentono obbligati a viaggiare nello spazio". Nel momento in cui la musica attacca, i muri crollano come fossero cumuli di brutti ricordi. Di fronte a questo spettacolo tragico e grandioso, gli inglesi fanno gli spiritosi e definiscono questa musica commovente "kraut-rock". Il rock del cavolo fermentato!
 
In quegli anni, Klaus Schulze é un giovane batterista in forza alle due formazioni di rock psichedelico più spaziali e drogate di Berlino Ovest, i già citati Tangerine Dream e gli Ash Ra Tempel, con i quali pubblica rispettivamente gli album "Electronic Meditation" (1969) e "Ash Ra Tempel" (1970), dischi sbilenchi di musica primitiva suonata con gli strumenti del XX secolo; é anche tra gli animatori dello Zodiak Free Arts Lab di Kreuzberg, una sala prove/concerti nella quale é strettamente vietato suonare musica convenzionale, canzoni rock, blues o cose simili, considerate "troppo borghesi".
Dopo queste esperienze, nel 1971, Klaus prende una decisione drastica: getta via le bacchette, compra un sintetizzatore e, lui che era un batterista, inizia a concepire uno stile musicale privo di ritmo. Obbliga un'orchestra di archi (che lo crede completamente pazzo) a suonare una sola lunghissima nota di quranta minuti per accompagnare le sue mistiche partiture di synth. Il risultato é Irrlicht, (fuoco fatuo), capostipite di tutta la ambient/drone music dei successivi quarant'anni, il cui titolo completo é "Irrlicht: sinfonia quadrifonica per orchestra e macchine elettriche". All'esordio, che otterrà scarsissimo successo, seguiranno altri album come Cyborg (1973), Black Dance (1974), Picture Music (1975), Timewind (1975) e Moondawn (1976), che avranno invece ampio riscontro di pubblico e critica. In questi anni Klaus scopre il sequencer e implementa il muro di sintetizzatori a sua disposizione. La sua musica assume i contorni di un jazz esistenzialista post-moderno.
.
Nel 1977, pubblica Mirage, un album che vira verso toni più cupi e introspettivi. Sulle atmosfere del disco influisce il fatto che in quel periodo il fratello di Klaus è in ospedale e sta per morire; ma anche il clima intorno, in Germania, è fosco. Il 1977 è l'anno più drammatico dell'autunno tedesco: la battaglia contro la Rote Armee Fraktion vede in quell'anno il suicidio/omicidio nel penitenziario di Stammheim di Andreas Baader, Jan Carle Raspe e Gudrun Esslin (tre nomi storici della banda) e due azioni efferate contro l'establishment  politico-finanziario della Germania Ovest, messe in atto dalle cellule della RAF a piede libero: l'assassinio del procuratore di Stato Siegfried Buback, freddato a colpi di mitra, e il rapimento/esecuzione del capo dell'Associazione Industriali, Hans-Martin Schleyer, noto per i suoi atteggiamenti antisindacali, ucciso dopo un estenuante negoziato (ponendo fine alla sua "miserabile e corrotta esistenza", scrissero i militanti della RAF nel comunicato). Inoltre, sempre nel '77, un commando di terroristi palestinesi dirotta un Boeing 737 Lufthansa per forzare la liberazione dei componenti della RAF incarcerati; l'episodio si conclude sulla pista dell'aereoporto di Mogadiscio con l'uccisione di tre dirottatori da parte dei reparti speciali della polizia tedesca. 

Foto segnaletica dei militanti della RAF nella metrò di Monaco (1980): "Attenzione: sono armati!"

Il penitenziario di Stammheim (1977)
.
Mirage è una foto sgranata di questo buio frangente della storia tedesca. Il lamento synthetico che caratterizza il primo movimento di Velvet Voyage (intitolato 1984) sembra venire dal sangue sui marciapiedi e dalle celle di un carcere. Il brano ha un respiro panottico, come a voler riassumere, in poche pennellate di sintetizzatore, secoli di sofferenza umana, è  l'obiettivo di una telecamera che parte da un primo piano e allarga progressivamente il campo ad una velocità infinitesimale, perdendosi 28 minuti dopo negli spazi siderali.  
Crystal Lake è un meditabondo pedinamento tra le vie cineree di Berlino; ha una suspense immobile, é un film poliziesco senza trama, nel quale non accade nulla. La città poi sprofonda in una brughiera inifinita, avvolta nella nebbia: tutto sfuma in un piano-sequenza di pallidi sintetizzatori, come fosse un pezzo crust rallentato al limite del possibile e distillato, in poche gocce nerastre, per carpirne l'essenza. 
Infine, il terzo brano, In cosa crede chi non crede (il titolo è in italiano), registrato nelle stesse sessioni di Mirage, ma originariamente non inserito nell'album. L'organo di una chiesa distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale suona tra le rovine delle nostre certezze; ci rivolge una domanda che non ha risposta: in che cosa crede chi non crede? Il brano ha l'andamento di un raga nichilista, in bilico tra un canto gregoriano ateo e il beeping della sala comandi di una centrale nucleare. Poi tutto assume contorni più sentimentali, e si torna a fissare l'alba dai finestrini di una macchina parcheggiata lungo un'autostrada. 
Quella di Klaus Schulze è musica esistenziale, carica di ansia, inchiodata al cemento e all'asfalto delle tetre città tedesche. E' il corredo sonoro di un pezzo di cielo che si intravede dai vetri rotti di una finestra, di una corsa lungo il Muro sotto la gelida pioggia invernale; è il fotogramma sospeso di un film che si ha l'impressione vada a finire male, anche se il finale non sarà mai girato. La musica di Klaus Schulze ci ha fatto da colonna sonora negli ultimi anni e da essa abbiamo probabilmente tratto ispirazione. Per questo, dedichiamo all'anti-musicista berlinese questo nostro tributo!