22/07/12

[Kala-tour report]
THINK GLOBAL, BE LOCAL: il tour regionale dei Kalashnikov in Emila-Romagna.
[Puj] Dopo mesi di stop forzato dovuto alle vicissitudini interne al collettivo, lo scorso marzo, siamo tornati in pista, nuovamente pronti per chiuderci in furgone e macinare chilometri. Pochi, ma buoni: siamo infatti andati a suonare in Emilia-Romagna, un buffo tour intensivo della regione, in mezzo a tanti amici e tante amiche. Evviva! 

30/3 Ravenna @ CSA Spartaco 
A Ravenna, tappa antimilitarista per l'omonima settimana organizzata grazie ad una sinergia di spazi e collettivi libertari romagnoli, con incontri, cene benefit e concerti. La serata di venerdì sera allo Spartaco vede ospiti alcuni ragazzi e ragazze di Cagliari che ci parlano della lotta contro l'istallazione di radar sul territorio sardo. La parte musicale é interamente affidata a noi e agli spagnoli Grupo de Riesgo. Gli spagnoli sono in tre, suonano punk veloce noncurante degli ultimi trent'anni di storia della musica.
Come sempre succede, dal pubblico ci chiedono canzoni che non siamo più in grado di fare da anni perché non ce le ricordiamo. Per noi è una cosa abbastanza normale, ma tutti gli altri, giustamente, la trovano un'assurdità. Una ragazza se la prende tantissimo con Sarta perché non suoniamo la canzone che aveva chiesto, lo prende in ostaggio e lo malmena. Viene riportata alla calma da alcuni amici. Per la notte ci rifugiamo in una stanzetta segreta, ingombra di vecchi pc e tavoli da disegno. Ci accampiamo lì e passiamo una notte tranquilla... 

K.Coll. live @ C.S.A. Spartaco (grazie a Nana per la foto!)
Allo Spartaco ci si diverte (ri-grazie a Nana per la foto!)

31/3 Bologna @ Atlantide Occupata 
L'indomani partiamo per Bologna. Sulla strada ci concediamo un pranzo regale in un ristorantello qualunquista chiamato "I Due Cavalli", a base di penne all'arrabbiata (grande classico del collettivo) e vino velenoso. 
Bologna è la città più punk d'Italia e lì si festeggia SEMPRE. La nostra base in città é la casa punk del Marky e di Stefania (Ebola). La si riconosce perché sulla porta é incollata una fotocopia di una fotocopia di una fotografia di Sid Vicious. Arriviamo nel pomeriggio, un po' sfatti per il caldo: è soltanto marzo, ma ci sono 30 gradi e sembra estate! Il nonno é un po' stanco e si riposa qualche minuto sdraiato tra i bagagli in mezzo alla strada.

Il Nonno è stanco.

Dopodiché ci concediamo un giro al mercato della Montagnola, dove incontriamo il vecchio Modi (Intothebaobab), bello pezzato. Il nonno ci porta alla bancarella dei giubbottini fosforescenti dove ha comprato il suo con scritto "Challenge" dietro, per il quale lo sfottiamo da parecchie settimane.  
L'Atlantide Occupata é uno dei quei casotti che sembrano prigioni, e segnano le vecchie porte d'ingresso alla città; si trova in mezzo ad una piazza, circondata dalla carreggiata trafficata e per questo, ad una certa ora della notte sembra un'isola di naufraghi, con tutti i punk assiepati sulla riva. E' strano individuare tra la folla lo stesso punk giapponese che era stato strano trovare a Ravenna il giorno prima, quindi decidiamo di farci due chiacchiere: è Yama, viene da Tokyo. E' in giro per l'Europa e ha deciso di seguire le nostre date emiliano-romagnole. Ci dice che siamo molto conosciuti in Giappone e che ha comprato il nostro ultimo 7" in un negozio di dischi di Tokyo. Vabbé.
La serata segna un miracoloso ritorno, quello dei Pioggia Nera. E' bello rivedere in azione queste rockstar mancate dopo tre anni di latitanza, dovuti a casini vari. L'atmosfera dell'Atlantide è sempre frizzante e tutto si svolge secondo il solito copione di scene confuse inframezzate da poderosi gin lemon con la cannuccia...  

K.coll. live @ Atlantide Occupata (grazie Marzia per le foto!)
13/4 Faenza @ CSA Capolinea 
Tempo da lupi, per la successiva trasferta a Faenza. Piove e ci si gela il culo. Ad un casello carichiamo quello scappato di casa di Modi che si presenta con una ridicola ampolla di grappa. Il furgone della Villa è sempre più simile ad una lattina schiacciata alla quale qualcuno ha cercato di restituire la forma originaria. Il profumo di cane bagnato all'interno è meno pungente del solito e abbiamo reso più confortevoli i sedili con alcune trapunte dai colori sgargianti che gli hanno conferito un ridicolo aspetto da pullmino hippie. C'è solo un lieve problema ai freni (non frenano). Essendo l'autoradio a cassette inutilizzabile (dentro, da un paio d'anni, c'è incastrata una cassetta degli Smiths) ci siamo dotati di ghettoblaster a pile piazzato sul cruscotto. Scarseggiano però i nastri: i migliori sono la colonna sonora di Ghostbusters e Final Countdown degli Europe. 

Modi e la sua buffa ampolla di grappa...

Il Capolinea di Faenza è un'oasi in mezzo alle fabbriche e alla paranoia. Sul palco saliremo noi, LaProspettiva, Crunch e Nofu. Ma prima assisteremo alla proiezione del documentario Torino HC, una retrospettiva sulla scena torinese degli anni '90, che noi tutti abbiamo amato. Per molti degli intervistati però sembra che la musica punk d.i.y. italiana sia iniziata e finita a Torino. Egocentrismo o disinformazione? I Crunch erano una delle anime di quella scena nonché gli autori del Dvd: sono delle sagome, vecchi punkettoni nell'anima, ma i loro pezzi durano un minuto, le pause tra un pezzo e l'altro dieci! Sarà l'età. E sarà la giovane età a rendere i LaProspettiva uno dei gruppi hc più devastanti che ci sia capitato di vedere ultimamente? Anche i Nofu sono bravi e hanno degli ottimi testi. Il cantante si sbatte un casino, malgrado il pubblico sia composto da statue del museo delle cere. Quando si è fatta una certa ora ci accovacciamo sui materassi al piano di sopra. Si uniscono alla banda Modi (che russerrà come un areoplano in avaria) e Matteino (Cancer Spreading, 9/11 jumpers); quest'ultimo, prima di addormentarsi si concede alla sua passione per la pittura, cimentandosi in una natura morta che ci raffigura sul palco:

Il capolavoro di Matteino.


14/4 Rimini @ CSA Grottarossa 
La mattina dopo il tempo è una merda, ci svegliamo infreddoliti e col malditesta. Tommo (Contrasto e LaProspettiva) ci porta a Bertinoro, alla Boutique della Piadina della signora Ines: praticamente, si entra in casa di questa signora, ci si siede al tavolo, lei sbuca dalla cucina e prende le ordinazioni. Fantastiche piadine di tofu e seitan in un ambientino casalingo prepotentemente romagnolo. Tommo continua a prendersi cura di noi e, in quanto persone di una certa età, ci porta alla cooperativa degli anziani a Cesena dove veniamo falciati da una raffica di grappe barricate e non, acquistiamo alcuni dolciumi da oratorio estinti da decenni e conosciamo un signore in pensione che si interessa molto a noi in quanto gruppo rock. Nascosta sotto il gilé infeltrito ha l'attitudine d.i.y. di un anarcopunk (ma non lo sa), così gli regaliamo un nostro disco. Pensiamo che sarebbe bello suonare in un circolo come questo, magari nella sala dei biliardi, per questi simpatici vecchietti ossessionati dalla briscola. 

Alla Boutique della Piadina. L'ultima sulla destra: la signora Ines...

La ciurma naufraga al C.S.A. Grottarossa di Rimini, sotto una pioggia battente. Un concerto tra amici, con i Contrasto, i Crunch, i LeTormenta e i giovani Turn Against. Il Grottarossa è un grosso centro sociale di quelli regolari, con la sala da concerti seria e il palco alto due metri, con l'impianto luci e i camerini. E' buffo vederci dentro noi, i LeTormenta e i Contrasto: sembriamo lì per sbaglio. Ezio (LeTormenta) improvvisa una campagna anti-palco, perché i gruppi suonino giù, al livello del pubblico, ma poi è mosso a pietà per il fonico, che è tutto sudato perché ha appena finito di montare l'impianto sopra il palco. 
Quando ci si imbatte in un palco di questo tipo, simile a quelli della televisione, ci si preoccupa subito di dover suonare meglio del solito. Perché? Noi che saliamo per ultimi, intorno alle due (orario in cui il concerto sarebbe dovuto essere già finito), non ne vogliamo sapere di suonare bene, quindi, non reggendoci in piedi, ci lanciamo nella scaletta a rotta di collo. Alle tre riprendiamo conoscenza, con gli occhi che bruciano, madidi di sudore: il concerto è finito e tutti sono entusiasti. Visto come si fa a suonar bene? Ci allontaniamo nella notte e lasciamo Matteino e Modi spalmati su un divano. Modi ha bevuto talmente tanto che gli esce il sangue dal naso... 

K.coll. live @ C.S.A. Grottarossa, Rimini (Grazie a Rita e Max per le foto!)

[Puj] Per concludere degnamente quest'epopea romagnola, ho preparato un tributo (scritto con il sangue) a due gruppi autoctoni, ai quali ci sentiamo particolarmente legati: Contrasto (da Cesena) e Letormenta (da Forlì), uniti per la storia del punk nel 7" split "la poesia è azione" pubblicato nel 2009: uno dei dischi che resterà per sempre nei nostri cuori!... 

[Free music for punx]
CONTRASTO / LETORMENTA - La poesia é azione (D.I.Y. 2009)
[Puj] La poesia é azione! Nella musica che suoniamo, l'azione, quella che sta dietro agli accordi e ai dischi, é tutto lo sbattimento di gestire e portare in giro la musica. E di farlo ininterrottamente da anni, taaaanti anni. Questo tipo di azione, che sta dietro a band come Contrasto e LeTormenta, rese grandi dall'impegno e dalla passione di chi le anima, è poesia! E' la poesia dei sorrisi di quando ci si incontra, é la poesia dei maldischiena a furia di scaricare e caricare ampli, è la poesia delle notti passate su qualche pavimento gelido ad aspettare di ripartire il mattino dopo per rifare la stessa medesima cosa, senza chiedersi perché. Non è retorica, é... la fottuta realtà! Poi naturalmente c'è l'azione intesa come attività politica, intesa come l'impegno nel portare avanti piccoli/grandi lotte culturali, nel far vivere posti/realtà sempre in bilico sull'orlo del baratro, nel gridare la rabbia verso un sistema di cose marcio e rivoltante. E anche in questo senso queste due band sono da esempio per tutti.
Il fatto che Contrasto e LeTormenta siano due band così vicine tra loro e nel nostro immaginario, ed allo stesso tempo piuttosto distanti dal punto di vista musicale, la dice lunga sul loro valore. Significa che la forma della musica per una volta non prevale sul contenuto, e che le grandi band hanno sempre una forte personalità e non hanno il bisogno disperato di suonare un genere. I LeTormenta con il loro unico hc-folk ecoradicale, influenzato tanto dal pagan-metal quanto dal rock progressivo degli anni '70 e i Contrasto con il loro h.c. poetico e brutale al tempo stesso, intensissimo, spinto allo spasmo, ma sempre libero dai cliché formali del genere, sono due band uniche, che quest'unicità l'hanno sudata in anni ed anni di esperienze.
Benché le intere discografie di Contrasto e LeTormenta rappresentino un grande percorso musicale/esistenziale che inevitabilmente ti segna, noi amiamo più di tutti questo sette pollici perché oltre ad essere bellissimo, raccoglie due band memorabili su un unico pezzo di vinile.


>>> Download CONTRASTO / LETORMENTA "La poesia é azione" split 7" in .mp3 (.rar - 12,5 mb.)

17/07/12

[We talk about... us!]
Kalashnikov Collective su A Rivista Anarchica n. 373 , estate 2012
Sfogliando l'ultimo numero di A Rivista Anarchica ci siamo imbattuti in un articolo a sorpresa sul Kalashnikov collective. Dice cose molto belle, per cui ve lo riportiamo qua sotto...

Prove concrete di organizzazione orizzontale
"Capita di trovarsi tra le mani l'ultimo 7" del Kalashnikov Collettive, eclettico collettivo milanese che da più di un decennio allieta gli squat italici. Vamipirizzati oggi: quattro canzoni che parlano di morte quotidiana e di speranza, di riscossa. Dell'alienazione che avanza, iniettata nelle vene umane da un modo di vivere elle mette sopra ogni altra cosa la corsa al profitto, una spoglia mosca cieca il cui premio è la sopravvivenza. Di lavoro che, nato come mezzo, diventa fine (senza fine) che assorbe e annichilisce. Mentre per un altro giorno, per un altro giorno ancora, si arriva al domani per inerzia, anche se il futuro non riserva un granchè. Mentre il lavoro, l'istituto scolastico che diventa suo precursore, con la stessa dinamica asettica dell'allevvamento intensivo, del carcere, del manicomio, del lager, dello stabulario vivisettorio, tagliano il legame fra la possibile utilità di un'azione e la mansione concreta che invece ci si ritrova costretti a svolgere, fra la possibilità creativa e la lobotomizzazione forzata, "perchè farsi troppe domande rende meno competitivi sul mercato".
E sono solo orde, orde di morti viventi che marciano verso le bocche del forno crematorio perchè è stato detto loro che va bene così, che lacrime e sangue saranno il prezzo da pagare. Non si accorgono di quel che è sepolto negli occhi del vicino: ormai è solo un avversario nella corsa. Corrono, corrono per arrivare primi, o forse perchè per fermarsi è troppo tardi, corrono perchè se tutti intorno a loro stanno correndo un motivo pure ci sarà - quale non è chiaro. Corrono, corrono, e al traguardo non trovano ad aspettarli altro che una tomba vuota con il loro nome scritto sopra.
Se nel più vecchio Dreams for super-defeated heroes i protagonisti erano super-eroi strappati al loro mondo di cellulosa e costretti ad affrontare la dura realtà, in Vamipirrzzati Oggi al centro dell'obiettivo ci sono coloro che si oppongono, in un modo o nell'altro. all'oscura magia che sta trasformando ogni persona si trovi loro attorno in un morto vivente. Formiche che cercano di resistere alla vampirizzazione delle loro vite. Si nascondono negli anfratti del tempo e dello spazio, fuggono verso Croatan o cercano di creare una effimera zona autonoma, la notte escono allo scoperto per "ballare ritmi di vendetta, scandendo le ragioni della loro estraneità". Come scoiattoli si arrampicano con un sasso fra le mani fin sulle pareti delle fabbriche di morte, confidando che quel semplice ordigno possa incepparne i meccanismi, che continuano incessantemente a frantumare le ossa dei padri e dei figli. Sono solo formiche e scoiattoli, ed è qui che sta la loro forza.


E' un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere. Da quanto tempo lo sappiamo? Da quanto tempo affrontiamo questa realtà? E... quanti di noi lo sanno? Forse se uno sa di essere pazzo, allora non è pazzo. Oppure può dire di essere guarito, finalmente. Si risveglia. Credo che solo poche persone si rendano conto di tutto questo. Persone isolate, qua e là. Ma le masse... che cosa pensano? Tutte le centinaia di migliaia di abitanti di questa città. Sono convinte di vivere im un mondo sano di mente? Oppure intravedono, intuiscono in qualche modo la verità? Ma, pensò, che cosa significa la parola pazzo? E una definizione legale. E per me, che significato ha? Io la sento, la vedo, ma che cos'è? E qualcosa che fanno, pensò, qualcosa che sono. E la loro inconsapevolezza. La loro mancanza di conoscenza degli altri. Il fatto di non rendersi conto di ciò che fanno agli altri, della distruzione che hanno causato e che stanno ancora causando. No, pensò. Non è quello. Non lo so; lo sento, lo intuisco. ma... sono volutamente crudeli... è quello? No. Dio, pensò, non riesco ad arrivarci, a chiarire il concetto. Forse ignorano parti della realtà? Sì. Ma c'è di più. Sono i loro progetti. Sì, i loro progetti. La conquista dei pianeti. Qualcosa di frenetico e di folle, così come lo è stata la loro conquista dell'Africa, e prima ancora dell'Europa e dell'Asia. [...] Quello che non comprendono è l'impotenza dell'uomo. Io sono debole, piccolo, senza la minima importanza per l'universo. L'universo non si accorge di me, e io vivo serva essere visto. Ma perché questo deve essere un male? Non è meglio così? Gli dèi distruggono coloro di cui si accorgono. Se sei piccolo potrai scampare alla gelosia di chi è grande. (La svastica sul sole, Philip K. Dick)
Un disco che abbandona lo slogan per tentare di sussurrare all'orecchio parole che insinuino il dubbio, al ritmo di ballate post-industriali. Coerenza fra fini e mezzi, scardinamento della concezione dell'artista come eletto, o come idolo da inseguire: l'arte ritorna ad essere pure urgenza esistenziale; la musica va al di là dei cliché di genere, così da potersi focalizzare sul contenuto e sul modo migliore per veicolarlo. Rifiuto delle logiche commerciali in favore di un'autoproduzione vista in primo luogo come necessità di riappropriarsi della propria vita, di non delegare la propria capacità creativa a terzi, ma di usarla invece come trampolino di lancio per la creazione di nuove relazioni umane.
Poi ti capita di assistere ad un loro concerto, coinvolgente come pochi. E, quando tutto è finito, di avvicinarti al banchetto della distro: cd, vinili. fanzines e libri, con a fianco una cassetta per le donazioni. Prezzo libero. Completa fiducia nei confronti dei ragazzi (di ogni età) che sono andati a incontrarli. E la cosa bella - la cosa che ti colpisce - è che, di fronte ad una distro incustodita con un cartello che invita a lasciare quel che si può/si vuole (sia questo denaro o un altro oggetto di scambio) si vede comunque la gente capire il legame di reciproca fiducia e rispetto che questa visione sottende e non approfittare della situazione. Come dire: prove concrete di organizzazione orizzontale. Ed è qui, in queste "piccole" cose - piuttosto che nella (straordinaria) musica in sé - che va forse cercato un senso in quello che i ragazzi del collettivo portano avanti" (Valentino Giorgio Rettore).


Un abbraccio all'autore dell'articolo (Strega-A) e una segnalazione per il suo ottimo blog: www.stregaa.wordpress.com! 

13/07/12

[Free books for punx]
La morbida macchina del nuovo disordine mondiale: tre testi di Sadie Plant.
[Pep] Sadie Plant è una pensatrice che situa la sua riflessione nell'ambito del pensiero cyberfemminista: quest'ultimo costituisce il tentativo di declinare l'oltrepassamento femminista dell'antropocentrismo (inteso quale portato e corollario dell'androcentrismo) nel senso di un'alleanza tra il femminile e il macchinico, laddove una lettura di essi che li situa in un rapporto di affinità e parallelismo conduce ad una de-naturalizzazione del primo e ad una valorizzazione del secondo in quanto vettore di processi post-umanizzanti. Se il filone cyberfemminista muove dal “Manifesto cyborg” (1991) della studiosa californiana Donna Haraway, Sadie Plant ne costituisce un'autrice di indubitabile rilievo, particolarmente attenta alle manifestazioni sociali della figura chiave del cyberfemminismo (il cyborg), cui esso affida le proprie aspirazioni emancipative ed alle strategie messe in atto dalla cultura e dagli assetti politici antropocentrici per neutralizzarne la portata eversiva. 
Il primo testo della quarantottenne pensatrice britannica qui presentato (“Ciberfemminismo. Sostanze pericolose e nuovo disordine mondiale”, realizzato per un convegno del 1994) sviluppa, con incisiva chiarezza, il tema della costituzione antropologica e culturale della donna, in uno stretto parallelismo con l'altrettanto cruciale costituirsi, storicamente progressivo, dell'orizzonte macchinico: parallelo al femminile nel suo porsi in essere, nell'ambito dell'assetto sociale androcentrico-antropocentrico, quale realtà meramente strumentale. In tal senso l'evolversi nella direzione elettronica del mondo delle macchine (il loro progressivo autonomizzarsi dalla posizione di strumento, per farsi perturbatrici dell'orizzonte antropocentrico) costituisce puntuale chiave di lettura, ma anche veicolo della liberazione femminile, laddove quest'ultima si configura come apertura dell'essere umano alla contaminazione con il macchinico, contaminazione agibile in primo luogo, per affinità paradigmatiche e modalità antropologiche e cognitive storicamente indotte, dalle donne (autocostituentesi, dunque, quali cyborg femministe). Dal testo è inoltre evincibile la centralità della problematica delle sostanze psicotrope nel pensiero dell'autrice, per la quale la tossicofilia, e la sua declinazione dipendenziale estrema, la tossicomania, costituiscono altrettante modalità soggettive post-umane: in cui la dimensione cognitiva e percettiva si artificializza, e di cui la dipendenzialità costituisce il versante più coartante e tabuizzato, ma anche il più emblematico, nel suo essere oggettivamente una radicale manifestazione antropologica e sociale del cyborg. Al riguardo si veda il secondo testo che proponiamo (“Tecnologie morbide per macchine morbide: l'interfaccia chimica”, 1999), in cui Plant delinea una storia recente delle sostanze psicoattive (evidenziando la sottesa, totale reversibilità reciproca tra la categoria di droga e quella di farmaco) nei diversi sviluppi civili e militari, sottolineando come la nostra società protegga il suo assetto antropocentrico confinando la figura del cyborg nell'ambito della narrazione letteraria e cinematografica a carattere fantascientifico, e di quella sociale con la figura del tossicodipendente: lo stigma che colpisce quest'ultimo è pertanto leggibile come il tentativo di difendersi dalla figura concettuale del cyborg, in realtà socialmente proliferante, confinandola fittiziamente in un individuo tacciato di devianza e pericolosità (tale stigmatizzazione agisce in particolare, va sottolineato, attraverso il vettore della repulsività corporea: il quale sottende e occulta la percezione di un avvenuto trapasso, mediato dalla droga, verso un orizzonte somatopsichico post-umano). 
Chiude la raccolta un'intervista rilasciata nel 1994 da Sadie Plant alla rivista Decoder (“L'intelligenza non sta più dalla parte del potere”), in cui la pensatrice britannica impernia il suo discorso su concetti quali intelligenza artificiale, interattività ed autoapprendimento, atti a descrivere tanto i computer quanto le droghe, intese quali sostanze xenobiotiche interattive, ma anche esplicativi delle modalità della liberazione e dell'affermazione sociale femminile. Attorno a questa tematica prendono corpo il coglimento di una progressiva e potenziale evoluzione libertaria della società, la legittimazione anti-censoria della pornografia, la critica femminista alla psichiatria, la messa in luce dell'insorgere di una modalità post-organica ed anti-patriarcale della corporeità: nel quadro di un ottimismo politico che non puo' certamente non avere chi si definisce radicalmente e felicemente ex umana. 

08/07/12

[Free books for punx]
Jonathan Safran Foer "Se niente importa: perchè mangiamo gli animali?"
[Sarta] “Se niente importa, non c'è niente da salvare”: si apre con queste parole l'indagine di Jonathan Safran Foer sugli allevamenti di animali negli Stati Uniti. Durata più di tre anni, la ricerca descrive  minuziosamente il ciclo produttivo della carne, dedicando ampio spazio alle varie tipologie di allevamento, pur nella totale disparità quantitativa tra quelli intensivi (circa il 99% della produzione) e quelli a gestione familiare (l'1%, una percentuale irrilevante). Inutile dirlo, è un libro che tutti i carnivori dovrebbero leggere, se non altro per essere consapevoli sui comportamenti che il loro stile di vita asseconda. Dopo i libri di Tom Regan, Peter Singer e Jeffrey Moussaieff Masson, dunque, aggiungiamo un altro tassello fondamentale per il consolidamento di una coscienza anti-specista. 
Ho trovato significativo che questo libro non sia stato scritto da un estremista dell'ALF o da un filosofo benestante di qualche università americana oppure ancora da un freakkettone-yogi che abita sulle montagne. Niente di tutto questo: Foer è un rispettabilissimo signore ebreo, con un altrettanto rispettabile lavoro (lo scrittore) residente nella rispettabilissima (e molto trendy) Brooklyn nella città di New York. Beh, giusto per sottolineare come l'essere vegetariani o vegani non sia una scelta poi tanto radicale quanto piuttosto perfettamente ragionevole. E' alla portata di chiunque, basta grattare un po' sotto l'immaginario bucolico dell'allevatore romantico che nutre con affetto i suoi animali - e poi, sì, li manda al macello ma li fa fare una vita tranquilla e gioiosa - per scoprire quanto la prassi dell'allevamento industriale (da cui proviene anche in Europa la quasi-totalità della carne che troviamo nei supermercati) generi un orrendo grumo di crudeltà, alienazione e inquinamento, che questo sistema assurdo e malato lascerà in eredità ai posteri.
Vi mettiamo qui sotto scaricabile un capitolo del libro, in cui si descrivono i sistemi di “smaltimento” (le virgolette sono d'obbligo) degli escrementi dei suini negli allevamenti intensivi. Potrebbe essere persino divertente, se non fosse tragico...