11/01/12

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Strategie dello stigma: un percorso antologico nelle pratiche di modificazione corporea.
Il Diavolo è stato attaccato implacabilmente e senza riserve dagli uomini di Dio. Mai vi è stata una singola opportunità , un breve accenno rivolto al Principe delle Tenebre, affinchè potesse parlare nello stesso modo dei profeti del Signore dei Giusti. I ciarlatani predicatori del passato sono stati liberi di definire il “bene” e il “male” come meglio credevano, e, con grande gioia,hanno condannato all'oblio chiunque non fosse d'accordo con le loro menzogne: verbalmente e, talvolta, materialmente. I loro discorsi sulla “carità” , quando vengono applicati a Sua Maestà Infernale, diventano una vuota impostura e molto, troppo ingiustamente se si considera che senza il loro satanico avversario tutte le religioni sarebbero crollate. Quanta tristezza che a questo personaggio, il maggior fautore del successo delle religioni spirituali, non sia riservata nessuna parte di carità, bensì il più grave abuso perpetrato da coloro i quali untuosamente predicano le regole della correttezza.. Nonostante i secoli di grida ostili che il Diavolo ha ricevuto, Egli non ha mai gridato contro i suoi detrattori. Ogni volta si è comportato da gentiluomo mentre quelli che lo sfruttavano tuonavano e criticavano. Si è mostrato come modello di comportamento ma oggi ha deciso che è giunta l'ora di ribellarsi. Ha deciso che è finalmente tempo di prendersi quanto gli è dovuto”.
[Pep] Così, in “The Satanic Bible”, Anton Szandor La Vey, fondatore nel 1966 della Chiesa di Satana (successivamente segnata da numerosi scismi) ed emblematico promotore della cultura satanista nella società contemporanea : smascherando in particolare l'inganno dell'amore cristiano attraverso il coglimento di quest'ultimo quale strategia orientata all'inclusione normalizzante degli individui in un perimetro sociale abbisognante di un nemico generatore di odio (Satana) per porsi in essere e sussistere, innescando una paradossale e distruttiva correlazione tra incremento dell'amore e parallelo incremento dell'odio. E' proprio da un'intervista a La Vey ad opera di Vincent Vale (con la partecipazione degli artisti Genesis e Paula Orridge e della segretaria della Chiesa di Satana Blanche Barton) che parte l'antologia sulla pratica del tatuaggio e della modificazione corporea che il Kalashnikov Collective Headquarter presenta ai suoi lettori. Il personaggio La Vey, indipendentemente da come lo si voglia interpretare, è stato promotore di una modalità del satanismo che, nella sua progressiva evoluzione dottrinaria, atta ad autonomizzare dall'ottica cristiana la figura di Satana, ha sempre più evidenziato quest'ultima quale realtà effettuale ma pienamente endopsichica, ovvero riferibile ad un processo immaginativo compartecipato dalla nostra specie nel suo complesso, atto ad esprimere ed inverare il Lato Oscuro dell'ethos umano: in un'ottica in cui il satanismo coincide con la contraddizione sistematica, avente la valenza di riequilibrio anti-dogmatico, della temperie etica prevalente (“I satanisti sono gli altri” dichiarerà coerentemente nel 1996 Blanche Barton). La visione politica di La Vey, incentrata su di un crudo anarco-egoismo dalle ascendenze stirneriane, configura infine la Chiesa di Satana quale moderna Unione degli Egoisti,orientata alla predazione distruttiva nei confronti del versante maggioritario e normalizzato della compagine sociale (macchiantesi costantemente del più grave e irrimediabile peccato contro Satana: la stupidità).

Indipendentemente da come si voglia valutare la sua controversa visione complessiva, La Vey è acutamente attento a sottolineare la genesi della soggettività satanista quale interna alla trama dei rapporti strategici che strutturano la società: evidenziando dunque le imprescindibili condizioni sociali del suo porsi in essere effettivo. Di qui l'inquadramento del tatuaggio quale pratica orientata all'auto-stigmatizzazione, in senso materiale quanto sociale: all'apertura cioè di una relazione strategica conflittuale con la società, tale da dischiudere a livello individuale la possibilità del porsi in essere di declinazioni de-viate della soggettività. La pratica del tatuaggio ha pertanto valore surrogatorio rispetto allo stigma individuale quale dimensione identitaria socialmente già data (emblematicamente posseduto, come La Vey sottolinea, dai cosiddetti portatori di handicap: handicap che, interpretato e stigmatizzato come tale da una società valorialmente monodimensionale, e dunque votata alla sua mistificante lettura in termini di deficit, si rivela costituire in realtà una dimensione prelusiva all'instaurarsi di una soggettività a carattere satanista). L' esito politico ultimo dell'attuazione sociale di tali modalità soggettive risulta essere un federalismo anarchico piuttosto affine al progetto politico di William Burroughs, caratterizzato cioè dallo sviluppo di aggregazioni sociali insulari atte ad un' illimitata reinvenzione artificiale ed arbitraria del proprio ambiente di vita e dei tratti identitari di chi lo abita:aggregazioni abbisognanti, nella visione laveyana, di un drastico e possibilmente selettivo diradamento dell'umanità per trovare realizzazione.
Completa il colloquio con Anton La Vey un'ampia intervista di Vincent Vale e Andrea Juno a Genesis e Paula Orridge, inerente il loro personale rapporto con il tatuaggio, la scarificazione e il piercing. Segue un breve saggio di storia del tatuaggio, “Ieri. Da ferita maledetta a lieve piacere della trasgressione” ad opera di Alessandra Castellani costituente il primo capitolo del suo volume antropologico “Ribelli per la pelle. Storia e cultura dei tatuaggi.” (1995): ad evidenziare come il tatuaggio costituisca un dispositivo identitario che attraversa la storia umana secondo modalità divergenti e certamente non riconducibili all'univocità della semplificazione. Il nesso tra tatuaggio e recupero, per quanto estrinseco, delle modalità antropologiche delle culture primitive ovvero la problematica del tatuaggio quale produttore di tribalismi contemporanei, è disaminato dal testo del poeta e saggista David Levi Strauss “Primitivi moderni”, con riferimento a quel fluido e trasversale movimento che ha fatto del ritorno a manipolazioni corporee giudicate proprie delle culture primitive il proprio programma antropologico. La nostra antologia si conclude infine con un testo di Betti Marenko (il primo capitolo del classico filosofico “Segni indelebili. Materia e desiderio del corpo tatuato”del 2002), “Pelli e grafie”, una sofisticata disamina della pratica della modificazione corporea che indaga, anche con strumenti psicanalitici, il rapporto tra pelle e identità: “Possediamo l'abilità di cambiare la pelle e rigenerarci in una nuova progenie post-umana?

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