11/12/06

[Live report]
KALASHNIKOV @ Oetinger Villa – Darmstadt (D) 4 agosto 06
Dopo aver trascorso la giornata a sbevazzare Apfelwein, un tremendo sidro di mele tipico della zona di Wiesbaden, partimmo per Darmstadt. Ci faceva strada l’amico Tomflex con la sua Mercedes anni ’80 targata WILD e abbellita da fiori finti cinesi. Non ho alcun ricordo del viaggio, se non quello di un nauseabondo odore di formaggio prodotto dalla caciottella bavarese che Tom ci regalò poco prima di partire; cercammo di renderla inoffensiva infilandola in sacchetti vari, ma inutilmente. L’unica soluzione fu mangiarla.
Lo squat in cui suonammo quella sera, la Oetinger Villa, si rivelò uno dei luoghi più incredibili in cui ho transitato nella mia vita di anti-musicista: una villa neogotica immersa nel verde lussureggiante di un parco-jungla in stato di abbandono, un vero e proprio castello dei film integralmente occupato da punks! Sulla facciata svettavano minacciosi gargoyles di pietra! Dentro ci accolse una specie di famiglia Addams composta da punkabbestia locali. Il silenzio, l’odore di muffa, i soffitti altissimi da cui pendevano lampadari antichi, la luce filtrata dalle vetrate colorate con motivi art decò, le imponenti scalinate di legno, l’enorme camino sudicio… tutto contribuiva a creare un’atmosfera davvero strana. Wow! Un maggiordomo anarcopunk con la cresta fosforescente ci accompagnò ai piani superiori e ci fece accomodare in sala da pranzo: sui fuochi bolliva un calderone di…

[Food, not bombs!]
VEGAN-CHILI!
[Annalisa] Chili con seitan per l’esattezza. Ingredienti (per sei persone): 200 grammi di seitan (alimento proteico ottenuto dal glutine di frumento o di farro, ottimo sostituto della carne!), 250 g. di fagioli neri messicani secchi, un chilo di pomodori, tre cipolle, quattro spicchi d’aglio, un peperone giallo, uno verde, salsa di soia, un cucchiaio di chili (o peperoncino).
Lessa i fagioli, dopo averli lasciati in ammollo per una notte e riasciacquati più volte sotto l’acqua corrente. Non salarli durante la cottura, altrimenti si induriscono! Taglia il seitan a pezzetti e mettilo a bagno nella salsa di soia. Pulisci e taglia a pezzetti i pomodori e i peperoni. Trita le cipolle e l’aglio. In una pentola molto grande fai un soffritto con olio, cipolle e chili, poi aggiungi i pomodori, i peperoni e l’aglio, e copri tutto con 300 ml. di acqua. Quando bolle, unisci i fagioli e aggiungi del sale. Lascia bollire per alcuni minuti (8-10 min. a fuoco basso)… unisci infine il seitan e cuoci perun altro po’, finché l’insieme non assume l’aspetto di un denso e profumato pappone. Servi il tuo chili vegano caliente e, possibilmente, con riso bianco al vapore. Vamos a mangiar, companeros!

Quella sera suonammo per due ore circa, ripetendo gli stessi pezzi tre o quattro volte, dato che eravamo l’unico gruppo e perché i punx erano tutti pazzi e volevamo ballare selvaggiamente. Il clima si fece davvero gaio, con i Kalashnikov che ogni tanto cercavano di scendere dal palco e i punx che li ricacciavano sopra, senza pietà. Rissa, ad un certo punto, non ce la faceva più, ma, incitato da uno skin con la maglietta dei Tankard, si rimise in piedi e suonò altre trenta canzoni. Tutti furono davvero simpatici, come quel giovane che appena tornato da Minsk, regalò a Milena migliaia di banconote di rubli bielorussi di nessun valore. O come quel punk che volle omaggiarci con un’auto e un elicottero in miniatura della polizia tedesca, da tenere sul cruscotto del furgone, come amuleto contro gli sbirri.
Al ritorno, eravamo tutti fatti. Malgrado non ci reggessimo in piedi, finimmo per concludere la serata verso le quattro del mattino, gustando kebab con i nostri amici Sonja, Tom e Frank. Ghallonz, per sbaglio, rivolse un invito sessuale (in tedesco) al proprietario del negozio di kebab, un saraceno nerboruto. Questo uscì brandendo un bastone per punirlo; ma tutto, naturalmente, finì a tarallucci fritti e birra sgasata, Anzi no: a Jegermeister, che offrimmo abbondantemente al personale del chiosco in segno di pace. Art! Amour! Anarchie! [Puj].

>>> Download KALASHNIKOV – Metropoli – videolive in Darmstadt 4/8/06 (Mpeg format – 100 mb.)
[We talk about...]
MUSIC!
Musica è divertimento! musica è impegno! musica è narcisismo! musica è socializzazione! musica è cambiamento! musica è lotta!… che cos’è la musica che suoniamo? A volte si è così presi a sudare sugli strumenti, a mettersi d’accordo per fare le prove, tra una giornata di lavoro alienante e mille altri stupidi impegni, a cambiare le corde della chitarra o a smanettare con un mixer che non si pensa più al senso di quello che si sta facendo. Pensare la musica non è affatto semplice: la si compone, la si suona, la si ascolta, ma difficilmente se ne parla, se ne analizzano i significati, si riflette sulla sua funzione. Non è una menata socio-filosofica, è un problema serio! Quando abbiamo iniziato, una cosa ce la siamo imposta: basta con gli slogan! Volevamo fare musica punk senza usare formule preconfezionate, senza sfruttare una simbologia d’accatto, senza prendere in prestito un immaginario… ma costruendocene uno su misura, tutto nostro. Che ambizione! Non credo, anzi: voglia di comunicare veramente. Ma comunicare non è facile. Bisogna innanzitutto pensare allo strumento che si utilizza per veicolare il messaggio. Scavando nella mia libreria da pazzo, mi è capitato tra le mani un librettino ingiallito: un’antologia di articoli pubblicati sulla rivista di musicologia degli anni ’70 intitolata Muzak. Tra una requisitoria contro i poveri Emerson, Lake and Palmer e un pistolotto palloso sui Soft Machine, mi sono imbattuto in un breve articolo che tratta il tema delle scelte di stile che la comunicazione musicale, più strettamente politica o meno, deve necessariamente compiere se vuole essere efficace nel trasferire messaggi. L’autore si chiede: è coerente ed efficace affidare la comunicazione politica “rivoluzionaria” ad una forma musicale che, seppur popolare ed accessibile a tutti, è anche retrograda, reazionaria e conservatrice come quella della canzonetta o della ballata popolare? E non c’è il pericolo che il linguaggio codificato e scarno del pop possa impoverirne i contenuti? Una musica dal messaggio “rivoluzionario” non dovrebbe essere di per se stessa musica “rivoluzionaria”? Musica in grado di scuotere e svegliare le coscienze dal torpore, magari anche disturbandole, aggredendole, estranea alle logiche compositive e di fruizione della musica commerciale? Non c’è il rischio che una forma canzone di per sé troppo “digeribile” possa far prevalere elementi estrinseci, come il ritmo e la melodia, sui contenuti? Se sono le contraddizioni della realtà circostante che vogliamo mettere in luce, non avrebbe più senso utilizzare un linguaggio meno rassicurante, più “critico”? Insomma: fa pensare di più la musica di una band noise-grind strumentale o quella del Kalashnikov Collective? Quante domande! Tutte senza risposta!… [Puj]